"Il romanzo della Nazione" di Maurizio Maggiani - Feltrinelli, 2015
C'era una volta il popolo. C'era una volta il sogno di costruire - attraverso il popolo - una nazione. C'erano le storie che facevano degli uomini, delle donne, delle famiglie, la premessa dell'essere popolo e poi nazione.
Maggiani rifà la storia della sua famiglia quando la sua famiglia comincia a morire. La madre, il padre, i legami di sangue, i legami di idee, la città, la memoria di quel venir meno "ad ogni usata amante compagnia" di persone che hanno lavorato per spingere avanti destini comuni, avventure comuni, speranze in comune. Maggiani ci dice cos'è il romanzo di una nazione quando quel romanzo tramonta. Quando quella possibilità non si dà più. La chiusura di un mondo ne apre un altro di cui si sa ancora e soltanto che è il "sogno di una cosa". Che cosa si racconta, di fatto? Si racconta di una madre e di un padre che si spengono portando, prima nella smemoratezza e poi nella morte, un mondo di certezze molto concrete: la cura dell'orto, delle cose, della casa, dei rapporti parentali. Il figlio-narratore rammenta la fatica giusta (e ingiusta) di procurarsi il pane e di stare appresso a sogni accesi poco più in là, nella lotta politica, negli scioperi, nella piana assolata quando arriva la notizia della morte di Togliatti. Si racconta, con un ginnico balzo indietro narrativo, della costruzione del porto di LaSpezia, il porto che, nella lungimiranza di Cavour, avrebbe dovuto essere il più attivo del Mediterraneo. Si racconta di altri fondatori di nazioni: di ebrei e di palestinesi. Si racconta di come si diventa grandi e di come si fondano speranze quando le speranze sono finite.