Apice e crollo di uno Stato nel Medioevo Sardo. Una contro-narrazion
Sa Batalla non è mai esistita!
Ovviamente la premessa di questo breve scritto vuol essere provocatoria. Ma qui ci si propone di analizzare un evento bellico, oggi celebrato in maniera spropositata, con un pizzico di obiettività; oltre a riflettere su alcuni concetti non ancora ben definiti in quella che è la narrazione storica sarda (da non confondere con la storiografia) che impera oggi.
Ovviamente la premessa di questo breve scritto vuol essere provocatoria. Ma qui ci si propone di analizzare un evento bellico, oggi celebrato in maniera spropositata, con un pizzico di obiettività; oltre a riflettere su alcuni concetti non ancora ben definiti in quella che è la narrazione storica sarda (da non confondere con la storiografia) che impera oggi.
Prima di tutto: nessuno storico del periodo ci ha mai raccontato di quest’evento avvenimento militare, il primo fu Jeronimo Zurita y Castro, lo storiografo aragonese nato nel 1512, quindi oltre un secolo dopo quella Battaglia del 30 giugno 1409 che sicuramente aveva consultato i documenti della Cancelleria Aragonese. Sia chiaro, nessuno vuole negare che Sa Batalla ci sia mai stata, semplicemente non ebbe proporzioni ed effetti militari e politici che gli attribuiamo oggi. Questa carenza di fonti documentali imparziali, o che riportano la versione degli Arborensi, sicuramente è determinata dalla conquista che portò l’isola ad essere un possedimento prima aragonese, poi spagnolo per ben tre secoli, e come si sa i conquistatori per prima cosa eliminano ogni forma di coscienza nazionale per reprimere il dissenso.
Qui occorre tenere in considerazione che per gli iberici la conquista della Sardegna fu un evento leggendario, quasi da mitizzare. Facciamo un passo indietro, a quando il pontefice Bonifacio VIII, con lo scopo di porre fine alla guerra dei vespri Siciliani, istituì il Regnum Sardiniae et Corsicae, infeudandolo al sovrano aragonese Giacomo II in cambio di un censo annuo e del giuramento di fedeltà. Prima che i catalani mettessero piede in Sardegna, anche se già avevano rapporti nell’isola (specie con la famiglia Giudicale Arborense) passano alcuni anni. Giacomo II infatti portava avanti una complessa strategia diplomatica che lo portò a instaurare alleanze e rapporti di tipo feudale sia con i Giudici d’Arborea, sia con le famiglie dei Donoratico, dei Doria e dei Malaspina, le quali, in funzione anti-pisana, assicurarono in maniera diversa il loro appoggio alla futura spedizione. Nel 1323, poi i catalano-aragonesi sbarcarono in Sardegna dove cinsero d’assedio Bidda ‘e Crèsia (Iglesias) e la presero dopo 7 mesi, espugnarono poi Castel di Castro/Cagliari ai Pisani in seguito alla battaglia di Lutocisterna. Ma come sappiamo la conquista definitiva dell’isola non fu cosa semplice per gli iberici, questo innanzitutto per via della guerra sardo-catalana scatenata dal Giudice d’Arborea Mariano IV, a partire dal 1353 con l’assedio di Alghero. Quello fu un episodio bellico particolare che spinse molti feudatari aragonesi anche a fuggire dall’isola, salvo poi essere richiamati dal sovrano aragonese Pietro IV, il Cerimonioso. Eventi particolari, come appunto l’assedio di Alghero, ma anche l’assedio di Oristano e la conseguente battaglia di Sant’Anna, mettevano in soggezione, sicuramente, gli iberici rispetto agli indomiti sardo-arborensi. Questo fece sì che, con molta probabilità, la Battaglia di Sanluri, uno dei pochi conflitti armati vinti dai catalano aragonesi durante la guerra sardo-catalana, assurgesse a evento che ha segnato un’intera epoca.
Tornando alla battaglia di Sanluri: prima di tutto, pare assolutamente inverosimile che l'esercito sardo arborense fosse composto da 20.000 uomini e sicuramente sulle cifre il nostro Zurita, così come Turell, ha calcato un po' la mano al fine di rendere ancor più epica l'impresa di Martino il Giovane. Sulle cifre della consistenza dell’esercito arborense c’è una discordanza che stona non poco. Il già citato Zurita indica 20.000 soldati, Turell 35.000, Alpartil 22.000 e Carbonell 16.000. Probabilmente l’unico che dovremmo prendere in considerazione è Tomic che indica una cifra tra i 3.000 e i 5.000 fanti al servizio del Visconte, esclusi i cavalieri.
Lo storico, quando fa certe considerazioni e ricostruisce un particolare fatto deve innanzitutto tenere in considerazione che della storia è più ciò che non sappiamo di quel che sappiamo, ma il suo compito è anche quello di non prendere in considerazione ciò che appare esagerato, soprattutto in assenza di documenti imparziali o precisi. In ogni caso dinnanzi a una situazione nella quale non emergono nuovi elementi è inutile alimentare una narrazione folkloristica e ben poco attinente alla realtà storica.
In quegli anni che segnarono forti contrasti, in un clima di guerra tra la Corona Aragonese e i riottosi Giudici d'Arborea, si arrivò raramente a scontri di quel tipo. Affrontare una battaglia non era sicuramente uno scherzo e rappresentava la perdita di ingenti risorse, militari ed economiche. Perciò i conflitti non è detto che si risolvessero sempre con le armi. Le battaglie campali erano un evento più unico che raro in tutta la storia medievale d'Europa e non erano certo come ci vengono raccontate da libri, film e rievocazioni.
La fonte più vicina alla battaglia di Sanluri oggi è il documento proces de sometent de Anglazola del 1448. In questo scritto, analizzato dallo storico Andrea Garau, viene presa in esame la battaglia di Anglazola e quella di Sanluri è una battaglia citata come modello di strategia militare. Da qui possiamo evincere una descrizione concreta, anche se sicuramente sempre edulcorata dalla propaganda aragonese. Come andò la battaglia lo sappiamo, l’esercito Arborense capitolò e da lì i rapporti di forza sul campo si sbilanciarono nettamente a favore dei catalano aragonesi.
Mentre il visconte Guglielmo di Narbona, ultimo Giudice d’Arborea, fuggiva verso il castello di Monreale con un manipolo di uomini si consumava “Su ‘ocidroxu”, ossia il massacro, la mattanza che si compiva verosimilmente alla fine di ogni battaglia, con i vincitori che inseguivano i vinti per placare la propria sete di sangue. Si narra che i sardi scampati alla strage si rifugiarono nella villa Sanlurese (questo vuol essere anche un invito a finirla con la retorica de “I borghi”), e nello specifico nel castello. Gli aragonesi però, nel frattempo, erano già pronti all’assedio della villa, sintomo del fatto che con molta probabilità l’esercito di Martino partito il 27 giugno non aveva intenzione di intraprendere una battaglia campale. L’infante d’Aragona era sicuramente più intenzionato ad aggirare Sanluri in modo tale da indebolire il Giudicato per poi puntare alla capitale, Oristano, come poi accadde.
Ecco, prendendo in considerazione il racconto che si fa oggi dell’evento dovremmo chiederci: ma siamo realmente sicuri che quel maniero potesse ospitare un numero superiore a oltre a qualche centinaio di soldati? Quali sono i ritrovamenti a supporto di questa narrazione? Oltre alla leggenda e ai toponimi, tramandati dalla tradizione popolare, abbiamo veramente poco in mano.
C’è poi anche qualche bontempone che ci narra come alcuni soldati si rifugiarono addirittura nella chiesa di San Gavino, ma quanti sarebbero stati questi soldati e quali sarebbero i documenti e le prove a supporto di questa ipotesi? È ovvio che i soldati che riuscirono a fuggire dal campo di battaglia prima della disfatta corsero ai ripari come e dove meglio potevano. Ma qui sembra quasi di essere al livello di coloro che indicano la Bella di Sanluri come responsabile della morte dell’Infante d’Aragona, piuttosto che la malaria. Narrazioni utili ad alimentare il folklore, non certo ad una ricostruzione storica con tutti i crismi.
E sui morti? La leggenda narra di oltre 7.000 morti. Ancora una volta occorre riferirsi alle fonti storiche che indicano una cifra che oscilla tra i 5.000 e i 7.000 morti, per parte Arborense. E per l’Aragona? 14. Ci rendiamo conto di quanto queste cifre non possano essere assolutamente prese in considerazione per via di una narrazione così disordinata.
Occorre dire anche che Sa Batalla non determinò neppure le sorti del Giudicato d'Arborea. Chiediamoci quindi: perché Guglielmo accettò di ingaggiare una battaglia di quel tipo contro l’Aragona nonostante si trovasse in una condizione di vantaggio? Certo, la Sardegna, e nella fattispecie l’Arborea, veniva da anni difficili, sia legati alla diffusione della peste, sia alla crisi politica innescata dalla morte del Giudice Mariano V, figlio di Eleonora, e dal ritiro a vita privata di suo padre, Brancaleone Doria. Ciò pone più di un interrogativo.
Il Giudicato d’Arborea non cadde per magia il 1 luglio 1409 in seguito a Sa Batalla, anzi. I catalano-aragonesi dovettero portare ancora avanti la loro campagna militare e nel settembre di quell’anno ci fu un’ulteriore battaglia alle porte di Oristano, il cui esito è incerto e ci fa propendere per una vittoria arborense.
Il Giudicato, in effetti, venne ridimensionato per effetto del Trattato firmato nella chiesa di San Martino a Oristano il 30 marzo del 1410 da Leonardo Cubello, Judike de facto, che su mandato della Corona De Logu accettò il patto di vassallaggio alla Corona Aragonese che trasformò quello di Oristano in un Marchesato, probabilmente al fine di proteggere la città da un eventuale assedio. Lo stesso Cubello si dice fosse imparentato con la famiglia giudicale e rivendicasse per sé il titolo di Giudice, ma la Corona de Logu gli preferì Guglielmo II di Narbona, nipote di Beatrice d’Arborea, figlia di Mariano IV, soprattutto per via dei legami che costui poteva avere coi nobili francesi e le grandi casate d’oltremare. Guglielmo era pur sempre uno che aveva preso parte alla Guerra dei Cent’anni, qualche contatto lo doveva pur avere, così come qualche conoscenza militare…
Per questo possiamo ipotizzare anche che Cubello, il quale poi diventò Marchese di Oristano, avesse qualche velleità di stampo politico. In seguito a Sa Batalla, poi, il Visconte di Narbona, si rifugiò in Francia, alla ricerca di rinforzi e alleanze che gli consentissero di tornare sull’isola per riaffermare il glorioso giudicato Arborense, la cui capitale era ormai Sassari, indi per cui dobbiamo supporre che l’antico Regno fosse ancora vivo. Così come attestano i successivi tentativi da parte del Visconte di entrare e prendere Alghero, nel 1410 e a Longoni (Santa Teresa di Gallura) successivamente. Certo, l’Arborea ormai si estendeva su un territorio ridotto e meno strategico rispetto a prima, ma continuava ad esistere e probabilmente creava qualche grattacapo ai catalano aragonesi. Catalano aragonesi che, nel 1420, offrirono oltre 100.000 fiorini d’oro al Giudice Guglielmo, il quale accettò e cedette il titolo giudicale.
Ci furono poi, in seguito, disordini e attriti che portarono alla Battaglia di Uras e a quella di Macomer del 1470 e del 1478. Entrambi gli eventi fanno di Leonardo Alagòn un paladino desideroso di riaffermare il Giudicato d’Arborea e scacciare così gli avidi spagnoli. In realtà Alagòn, figlio di una sorella di Cubello, bramava per sè e per la sua famiglia il titolo di Marchese di Oristano a dispetto della volontà del Vicerè di Sardegna Nicolò Carroz, e per far ciò era funzionale rievocare i simboli dell’Arborea, che più di un sussulto provocavano nella popolazione che ancora non si era rassegnata al dominio straniero e, d’altronde, facevano ancora timore agli iberici.
Ma, tornando al 1409, quali furono le ragioni di questa capitolazione se non per effetto di un conflitto militare di quelle proporzioni? Forse bisogna interrogarsi su ragioni più profonde e andare a ritroso nel tempo. Mettiamo, per gioco, che all'interno del Giudicato, nell’ultimo secolo di vita, si fossero creati due partiti, o fazioni, un po' come nelle oligarchie che animano la geopolitica, e la politica interna, contemporanea: i falchi e le colombe. Poniamo che ci fosse un partito monarchico, composto da coloro i quali volevano mantenere lo status quo ed erano a favore di una pace duratura con la corona d'Aragona, ma non disdegnavano assolutamente di supportare la casata giudicale dei Bas Serra. Una fazione, questa, composta dagli uomini più in vista del Regno e più vicini ai Giudici. Poi, magari, c'era un partito repubblicano, composto da coloro i quali erano poco interessati alle sorti della casata regnante, soprattutto perché il loro obiettivo era quello di instaurare un’altra forma di governo, che prendesse a modello la Repubblica Marinara di Genova, che aveva notevoli influenze nell'isola. Per raggiungere quest’obiettivo però era necessario portare il conflitto con l’Aragona alle estreme conseguenze, al fine di rendere la Sardegna, e quindi l’Arborea, pienamente indipendente. Entrambi i partiti tiravano la giacchetta del sovrano di turno per perseguire ognuno i propri obiettivi. E gli effetti dovevano sicuramente incidere sui rapporti di forza che determinarono il corso degli eventi in quegli anni.
Detto ciò occorre naturalmente avere cognizione di quella che era l'architettura istituzionale dei Giudicati, che formalmente non erano delle vere e proprie monarchie, dato che il potere giudicale si fondava sulla Corona de Logu, che aveva piena potestà di intervenire sulle decisioni del sovrano, e sul Bannus Consensus, quindi sul consenso popolare di cui il Giudice doveva godere per poter governare, pena la morte per mano del popolo stesso (e forse fu ciò che accadde a Ugone III). Nonostante gli ultimi Bas Serra, quindi Mariano, Ugone e la stessa Eleonora fossero dei sovrani illuminati, capaci di varare riforme mai viste in Europa ( la Carta De Logu) e governare un Regno che teneva in scacco una delle più grandi potenze dell’epoca, erano sempre dei monarchi, avvezzi al curare i propri interessi e quelli di chi stava loro vicino, come i componenti della CdL, che è bene ricordare erano di nomina regia. Sicuramente occorre scardinare quel pensiero che ci fa credere che il Giudicato e la sua struttura politica fossero una sorta di paradiso con peculiarità e anomalie rispetto agli altri Stati Europei. Forse l’unica vera tipicità sta nel fatto che nei Giudicati non vigeva un vero e proprio sistema feudale, certo c’erano dei proprietari terrieri, ma il diritto di coltivare la terra era garantito per tutti. Il feudalesimo si instaurò solo con l’arrivo degli iberici, in netto ritardo rispetto all’epoca, e forse qualche signorotto locale si fece i conti in tasca…
È lecito quindi ipotizzare un eventuale accordo politico tra gli aragonesi e i maggiorenti locali. Riguardo poi alla successione dinastica occorre capire come mai Eleonora nel 1381 avesse scritto al sovrano aragonese, Pietro IV, e a sua moglie Sibilla, al fine di rivendicare il diritto di successione per il figlio Federico a dispetto di quanto chiedeva il Visconte di Narbona, vedovo di Beatrice d’Arborea. Tutto ciò nonostante il povero Ugone fosse ancora in vita, governava il Regno e aveva un’erede, Benedetta, nata dall’unione con Anonima Castelli di Vico, poi morta insieme al padre all’età di tredici anni in una terribile rivolta su cui non è mai stata fatta piena luce. Qualche anno dopo la stessa Eleonora scrisse nuovamente al sovrano aragonese comunicandogli di aver preso il possesso del Giudicato per conto del suo primogenito, Federico. Al contempo scrive anche a Sibilla, chiedendole di intercedere presso il marito. Non si può classificare come un atto di vassallaggio questo? Fermo restando che i venti di guerra soffiavano forte in quell’isola del Mediterraneo e la tensione tra la Corona Aragonese e il Regno d’Arborea era acuita dalla prigionia del coniuge di Eleonora, Brancaleone Doria. Ma stiamo veramente fantasticando, forse al pari di chi vede in quella battaglia del 1409 un mito. Un mito per chi? Non per i sardi, sicuramente.
Nello studio della storia tendiamo a semplificare i rapporti di forza, e non, che ci furono nell’arco di quegli anni, alimentiamo dicotomie che effettivamente ci furono, ma alle quali diamo troppo peso. L’arco temporale ricompreso nel basso medioevo sardo non fu solo contraddistinto dalle lotte tra i quattro Giudicati (Calari o Pluminos, Arborea, Gallura e Torres o Logudoro). E il contesto non è semplificabile nemmeno attraverso le varie lotte tra pisani e genovesi, appoggiati a fasi alterne dai giudicali. Così come, in un’ultima fase non ci fu solo un conflitto acceso tra aragonesi e arborensi. Dimentichiamo quasi che gli arborensi furono per diverso tempo alleati del Regno d’Aragona, consentirono la scacciata dei pisani dall’isola prima e poi furono alleati nella guerra contro i genovesi Doria, come testimonia l’evento di Aidu de Turdu, poi si associarono coi Doria stessi in funzione anti-aragonese. Basti pensare, inoltre che Brancaleone Doria, poi sposatosi nel 1476 con Eleonora e in seguito condottiero delle truppe Arborensi era un fido vassallo e alleato per il re aragonese Pietro “Il Cerimonioso”, nonostante fosse un cittadino genovese. Molteplici interessi hanno sempre influito sulle vicende politiche interne di un’isola che era (e per certi aspetti è) fondamentale nell’assetto geopolitico europeo e mediterraneo. Interessi che, spesso e volentieri, non coincidevano con la volontà popolare, assuefatta e divisa dalle lotte per il potere.
Insomma, sono tanti gli interrogativi da porsi, che ci rendono poco chiare alcune vicende della nostra storia, forse troppo mitizzata, come accadde nel XIX secolo in seguito alla scoperta delle false Carte d’Arborea. Forse dobbiamo iniziare a uscire da quel tipo di narrazione che descrive la Sardegna «fuori dal tempo e dalla storia». Il nostro passato è perfettamente insito nello scenario europeo e mondiale e certi eventi sono stati determinati anche e soprattutto dal quadro internazionale. Oggi abbiamo il dovere di rileggere e ristudiare la nostra storia anche utilizzando strumenti e conoscenze di cui siamo in possesso, soprattutto per liberarci dai limiti che talvolta ci siamo "autoimposti".
Lorenzo Argiolas
Bibliografia:
Mariano IV d’Arborea e la guerra nel Medioevo Sardo, Andrea Garau, Condaghes, 2017;
Sanluri 1409 La Battaglia per la libertà della Sardegna, a cura di Franciscu Sedda, Arkadia, 2019;
Sitografia: