"Il messaggero" di Kader Abdolahg - Iperborea, 2010.
C’era una volta un popolo che viveva in una terra desertica intorno alla Mecca, era diviso, governato da leggi tribali e venerava idoli di pietra, cui sacrificava le sue figlie femmine.
Un popolo di seminomadi poveri e ignoranti, guardati dall’alto in basso dai ricchi mercanti ebrei e schiacciato tra grandi imperi – Bisanzio, la Persia, l’Egitto. Tutte civiltà avanzate, ognuna con un suo profeta, che si chiamasse Mosè, Gesù o Zarathustra, e un suo Libro, e soprattutto ognuna con un unico dio. In quella terra inospitale viveva un mercante scaltro, membro di un clan illustre. Era analfabeta, ma visionario e determinato, e dotato di una curiosità e una fantasia inesauribili. Era un poeta. Il suo nome era Muhammad. Soffriva per l’arretratezza del suo popolo, che sognava di vedere prospero e libero da usanze barbare. Voleva migliorare la condizione delle donne, voleva che i libri e le idee circolassero liberamente, che il mondo li trattasse con rispetto. Tutti deridevano il suo messaggio rivoluzionario, ma una notte un dio onnipotente gli apparve e gli parlò. L’alba che ne seguì ha cambiato per sempre il mondo. Kader Abdolah è convinto che non si possa giudicare l’Islam, e quindi capire la storia e l’Occidente, senza conoscere il suo Profeta, il suo Libro e la terra che li ha generati. Il messaggero è una sua personalissima reinvenzione letteraria, da cui Muhammad emerge in tutta la sua umanità e modernità, un racconto che profuma di datteri e ulivi, e che parla del potere della parola e del mistero divino.