"L’anatra, la morte e il tulipano" di Wolf Erlbruch - E/O, 2007.
Non mi premieranno per l’originalità nella scelta dei libri che leggo, questo è certo, diciamo che non mi soffermo sulle novità editoriali ma scrivo di quello che mi piace, mi colpisce e mi nutre. Oggi mi è venuta voglia di scrivere di questo piccolo racconto, pietra miliare della letteratura d’infanzia.
Tante sono le recensioni, tanti i riconoscimenti. Un piccolo libro per quanta riguarda la lunghezza, un grande libro se lo si legge con attenzione e lo si guarda con cura ancora maggiore. L’anatra, la morte e il tulipano, di Wolf Erlbruch, (EDIZIONI E/O) è un libro che racconta ancora prima di aprirlo. La piccola anatra osserva rapita il titolo, ci costringe a fermarci a leggerlo, a scoprire di più riguardo a questa storia; quando giriamo la pagina ci segue, si volta a farci notare la quarta di copertina per solleticare ulteriormente la nostra curiosità. Ancora giriamo il foglio, prosegue il suo percorso fino al colophon, sente di essere seguita, prima a destra e poi a sinistra, dove il nostro racconto comincia.
Siamo abituati ad immaginare la morte come un’entità scura, incappucciata, scheletrica e dal volto nascosto; nella lingua tedesca, il sostantivo morte è al maschile (der Tod), e questo fattore incrementa l’immagine potente che l’autore ha raffigurato nella sua illustrazione: col capo scoperto la Morte si presenta, in abiti domestici, pantofole e trench, come se fosse a casa sua, a suo agio, tiene nascosto dietro la schiena un tulipano scuro, è indubbiamente una presenza maschile, ma rispetterò la traduzione e ne parlerò al femminile. Silenziosa per il suo passo felpato, alla sua vista il primo sentimento è lo spavento, per l’anatra (e immagino lo sarebbe per ognuno di noi). Le due disquisiscono per un po’, mettendo in chiaro ruoli e la possibile caducità degli eventi.
L’anatra si abitua subito a quella presenza, tanto che le propone di andare allo stagno, un posto dove si sente a suo agio, il suo ambiente naturale.
L’illustrazione di questa pagina, dopo il bianco perenne delle prime, ci mostra lo stagno come un luogo freddo, e la Morte è sola (benché l’anatra sia accanto a lei), ferma, e a disagio. Dopotutto, è uno scheletro, è normale che senta freddo (così ha detto mia cugina di sette anni quando l’abbiamo letto, e ha ragione).
Dopo un po’ che stavano a mollo la Morte confessò di non amare l’acqua. “Ti prego di scusarmi- disse – ma dovrei proprio andarmene da questo luogo così umido”.
Si può provare affetto, o tenerezza, o compassione per la Morte? L’anatra le propone di scaldarla, con naturalezza, come se fossero amiche.
La Morte rigidamente acconsente, non abituata a questo genere di contatto e tenerezza nei suoi confronti: “una proposta del genere non gliel’aveva ancora fatta nessuno“, scrive infatti Erlbruch.
La morte racchiude in sé la paura, soprattutto dell’ignoto. Il giorno dopo, svegliandosi, l’anatra pone i suoi quesiti sul “dopo” che la aspetta, confessando superstizioni e leggende metropolitane. Dopotutto esistono in ogni regno animale, persino nel nostro. Con ironia e sagacia la Morte risponde, non rivelando nulla e limitandosi a fissarla. Le due salgono sull’albero, per guardare lo stagno.
Giù in basso, in lontananza, si vedeva lo stagno. Era così silenzioso laggiù, e così deserto. “Ecco come sarà, quando morirò” si disse. “Lo stagno, tutto solo, senza di me”.
Noi non lo vediamo lo stagno, è nascosto oltre le pagine e non riusciamo ad immaginarlo, lasciamo che sia l’anatra a descrivercelo, a lasciarci un senso di vuoto e solitudine, di abbandono. Lo stagno è la sua casa, dopotutto, e senza di lei non sarà più niente. I posti hanno un valore solo se li conosciamo o se ci abituiamo, ne facciamo il nostro nido, quasi come se fossero parte di noi. L’anatra capisce che dovrà lasciarlo indietro, quello stagno freddo e inospitale per la Morte, ma importante per lei.
L’anatra è sicuramente più fortunata di chiunque altro: più parliamo di qualcosa che ci spaventa, più ci avviciniamo alle nostre paure, e se non riusciamo ad affrontarle, o non ci danno modo di trovare una soluzione piacevole a ciò che accadrà, abbiamo solo voglia di non pensarci più. Come l’anatra, che prega la Morte di scendere dall’albero, luogo inusuale per lei, a cui attribuisce strani pensieri, così difficili da accettare quando si è lontani dalla propria “comfort zone”, in questo caso lo stagno e quindi la vita. Sulla destra, vola un corvo, presagio di sventura, nero e solo, stagliato contro la pagina bianca.
Nelle settimane seguenti andarono sempre più di rado allo stagno. Per la maggior parte del tempo se ne stavano sedute sull’erba e parlavano poco. Quando un vento fresco le soffiò tra le piume, per la prima volta l’anatra si sentì gelare. “Ho freddo” disse una sera. “Ti va di scaldarmi un pochino? ”.
L’anatra si distacca sempre più dalla vita, qualcosa succede. Chiede alla sua compagna affetto, un modo per non sentire freddo, ma soprattutto per aiutarlo a superare la paura, il disagio dell’ignoto, del diverso dalla consuetudine. Il diverso dalla vita. La morte, o la sua idea, se impariamo a conviverci, può starci vicina più di chiunque altro, più della speranza, più dell’amore.
La pagina si tinge di azzurro, cambia il clima, una condizione mai esistita tra le pagine precedenti, quasi senza tempo.
Una neve leggera scendeva piano nell’aria. Era accaduto qualcosa. La morte guardò l’anatra. Non respirava più. Giaceva immobile.
Dobbiamo avere paura della Morte? E’ davvero un’entità nemica degli esseri viventi, letale e spaventosa come la si descrive? O è più una compagna, un’amica che con una calma attesa accetta il cambiamento e ci accompagna, allontanandoci dalle paure, mettendoci faccia a faccia con ciò che siamo stati, siamo e non saremo più. Non è la morte che ci porta via, ma è la vita.
Ricompare il tulipano, omaggio della Morte e di un piccolo funerale privato, anche se siamo soli, come l’anatra. Anche se abbiamo paura. Si occupa di noi, ci saluta come un’amica, un parente, un genitore. Ci adagia sul fiume e ci lascia andare all’ignoto. Non ci siamo più, resta solo il nostro corpo, per poco, nella corrente.
La seguì a lungo con lo sguardo, quando la perse di vista la morte quasi si rattristò.
Ma così era la vita.
La Morte non appartiene al fiume, appartiene a questa terra, al bianco delle pagine del libro, appartiene ai giorni tutti uguali. Appartiene ai momenti tristi, alla dura realtà.
E soprattutto appartiene al ciclo della vita, tra la corsa della volpe che insegue la lepre e qualche volta la prende, qualche altra volta no. La morte di una è la vita dell’altra.
Ma alla fine rinasce sempre il tulipano.
Martina Cruccu
(http://paperblossom.altervista.org/recensione-anatra-morte-tulipano-paperblossom/)
- Wolf Erlbruch è nato a Wuppertal, in Germania, ed è considerato uno dei più importanti illustratori europei. Nel 2006 ha vinto il premio Hans Christian Andersen, da tutti considerato il Nobel per la letteratura per ragazzi.