"La poesia agli albori dei tempi" di Sara Carvone
Sin da quando l’uomo ha calcato le terrene lande ha avuto e mostrato l’impellente bisogno di onorare qualsiasi cosa attorno a lui.
Questo accadeva per i fenomeni metereologici o semplicemente per ingraziarsi la natura affinché potesse essere magnanima nel buon raccolto, da allora molte cose sono cambiate tant’è che l’uomo moderno sembra non avere più rispetto di nulla se non per il proprio ego e le proprie finanze, che cerca sempre di accumulare a dispetto di chiunque o qualunque cosa gli stia attorno.
In un momento storico come quello che stiamo affrontando è assolutamente necessario fermarsi, respirare profondamente e guardarsi indietro: non al recente passato ma ad uno più remoto, dove l’uomo era ancora un tutt’uno con la Grande Madre e ne poteva avvertire i sussulti sia nell’inconscio che nel fisico.
Sembra quasi di sentire su di sé il respiro degli antenati e di tutto ciò che è stato, dei loro canti, dei loro riti e delle loro poesie.
Come poetessa ho subito parecchie influenze dalle mie letture ma ci tengo a parlarvi per farvene conoscere una in particolare, la prima che ha avviato tutto il percorso di ciò che sono ora. Capitò quasi per caso tramite un articolo letto su internet, che venni a conoscenza di un libro oramai fuori serie intitolato “Poesia dei Popoli Primitivi” (titolo originale “Dichtungen der Naturvölker”, a cura di Eckart von Sydov e tradotto da Roberto Bazlen). Riuscii a recuperarlo senza troppe difficoltà e quando lo presi in mano e lo sfogliai capii del tesoro che esso conteneva tra le pagine logore e ingiallite: canti religiosi e cosmologici, inni, miti della creazione e canti di guerra appartenenti a più popoli, come quelli siberiani, nativi americani, africani e le tribù appartenenti ai mari del sud.
La differenza che risalta tra poesia indigena e poesia moderna è che nella prima si attuano ancora canti e balli, mettendo per l’appunto in risalto anche un carattere ritualistico e – se invece la spogliamo di questi due elementi – risulterà essere più semplice e ripetitiva: le ripetizioni infatti, non hanno solamente una funzione estetica ma anche di ordine universale, potremmo paragonarlo ad un vero e proprio mantra per provocare l’effetto desiderato sul mondo fisico. Ciò che salta maggiormente all’occhio è la sacralità di cui sono permeati i versi, ove si percepisce una connessione col divino e la natura perfino nei sentimenti che oggi riterremo fortemente negativi, come la dipartita di un marito o di un figlio. Quasi come se il loro lamentoso canto potesse giungere alle vette più alte dei cieli.
Possiamo dunque “catalogare” le liriche contenute in questa piccola raccolta in cinque grandi temi: la magia, la religione, la tristezza, la guerra e l’amore. Forse per l’uomo moderno potrebbero risultare tematiche oramai superate, primitive, ma chi siamo noi per ritenerci superiori a loro?
Paul Klee una volta disse: “Sono i bambini, i pazzi e i popoli primitivi ad avere ancora il potere di vedere” ed io non posso che essere totalmente d’accordo.