Sette bambini intossicati dal piombo della fonderia

Da Il Filo della Memoria 2.0 - Biblioteca Multimediale di San Gavino Monreale (VS).

Da "Il Messaggero Sardo", Anno XIII n.2 del febbraio 1981.

Sette bambini intossicati dal piombo della fonderia

Apprensione a San Gavino

di Giancarlo Ghirra

L'articolo de "Il Messaggero Sardo"

L'allarme è scattato nei primi giorni di gennaio, quando i medici della seconda clinica pediatrica dell'Università di Cagliari hanno sentenziato che nel sangue dei sette figli di un operaio della fonderia di San Gavino c'era un «accumulo eccessivo di piombo». Non certo una rilevazione di scarsa importanza, ma «sintomi premonitori di un avvelenamento completo». Per il padre dei sette ragazzetti (dai tre ai quindici anni), un vero e proprio dramma. Per un intero paese la coscienza di un inquinamento atmosferico pericolosissimo.

Una dura realtà, perchè ancora una volta due esigenze contrastanti, quella della difesa della salute, e quella dell'occupazione per cinquecento operai, si scontrano drammaticamente. Come reagite infatti alla notizia che i figli di Giovanni Caboni, (cosi si chiama il padre dei sette «intossicati»), possano guarire soltanto se allontanali dalla zona inquinata? E cosa pensare degli altri bambini e di se stessi, delle migliata di persone che abitano a San Gavino? Intanto una cosa è certa: gli esami hanno riscontrato tassi di intossicazione spaventosi in molti degli operai impegnati nella produzione della fonderia della Samim. Un'azienda che più di una volta ha aperto i suoi cancelli a operai diretti all' Istituto di medicina del Lavoro di Cagliari per il ricovero. La denuncia di Giovanni Caboni alla magistratura perchè indaghi sull'inquinamento non è stata dunque una novità ma piuttosto l'ulteriore conferma di un dramma tante volte passato sotto silenzio anche per evitare di discutere del proprio posto di lavoro. Solo che sono in tanti a notare nei propri bimbi sintomi preoccupanti e ormai terribilmente chiari, quali mal di testa, dolori addominali, inappetenza. Pessimi indizi di un'intossicazione che può portate alla morte o a lesioni irreparabili per il sistema nervoso, ritardi mentali. A Giovanni Caboni non resta altra strada che quella di un trasferimento dei figlioli in una località che goda di aria salubre. Ed è un problema pressoché insormontabile per un operaio che non può certo lasciare il posto di lavoro. Ma a tutti gli altri abitanti di San Gavino? Per loro la questione è sicuramente più complessa, e la soluzione può essere solo un sostanziale, drastico intervento di disinquinamento. Una strada obbligata, che passa prima di tutto per modifiche agli impianti che non danno garanzie di sicurezza. Un problema che non è solo di San Gavino ma anche di altri importami centri, come Sant’Antioco, dove fumi e scarichi di magnesio pottebbeio essere fra le cause di un aumento spaventoso di tumori ai polmoni. Importanti zone dell'Isola si trovano dunque di fronte a non più rimandabili problemi che mettono in gioco la sopravvivenza stessa di intete comunità, stretta fra la difesa di posti di lavoro indispensabili e l'esigenza primaria della sopravvivenza. Un nodo delicatissimo, se è vero che non occorre essere maghi del sindacalismo per sapere quanto poco le imprese, anche quelle pubbliche, siano disponibili a interventi radicali di ristrutturazione. costosi e spesso antitetici rispetto alle esigenze della produzione, in grado di evitare danni ireparabili all'ambiente. Una ostilità «padronale» della quale non di rado si fanno complici anche gruppi di lavoratori propensi a «monetizzare» la nocività, accettando e contrattando denaro in più anziché intervenendo per combattere l'inquinamento in fabbrica e fuori. A differenze che altre occasioni, il campanello d'allarme scattato a San Gavino ha comunque fatto muovere le acque. Intanto l'assessore regionale alla Sanità, Emanuele Sanna, ha disposto un'approfondita indagine sulla «presunta intossicazione da piombo», nominando una Commissione tecnico - scientifica presieduta dal medico provinciale di Cagliari, che dovrà stabilire «nei tempi più rapidi se nell'abitato di San Gavino e nel suo territorio extraurbano esistano fonti Che pregiudichino la salubrità dell'ambiente di lavoro e di vita». Tutto questo con un'indagine che punta ad individuare anche le «possibili fonti morbigene». L'assessore non si è fermato a questo, prendendo contatti con le amministrazioni comunale di San Gavino, la Provincia di Cagliari e l'assessorato regionale all'Ecologia per «sollecitate un intervento coordinato immediato». Parallelamente all'indagine della Regione, anche a San Gavino Comune e azienda si sono mossi. Dieci monitors per la rilevazione dell'inquinamento sono stati istallati nei punti considerati «di maggior rischio», e cioè dove sono concentrati gli scarichi del piombo. Per l'operazione, che non si concluderà comunque prima della fine di febbraio, la Samim ha messo a disposizione i suoi tecnici. Non resta che attendere per conoscere i risultati ufficiali, ma intanto c'è da dire che la paura è penetrata fra gli abitanti di San Gavino che, a torto o a ragione si sentono esposti al pericolo dell’inquinamento da piombo. Per difendersi la strada c'è. O meglio, ce ne sono tante, ma una interessante è stata indicata dal sindacato zonale della Cgil: « Da sempre — sostiene Antonello Mancosu, responsabile della Camera del Lavoro — chiediamo che la fabbrica venga spostata lontano dal centro abitato, nella zona industriale di Villacidro. Non solo: sollecitiamo la Samim ad adottare le nuove tecnologie delle quali possiede il brevetto, che consentono di ridurre a livello di tollerabilità gli scarichi inquinanti. Solo così si potranno evitare i disagi per i lavoratori e per chi abita in paese ». Un tema ribadito da Salvo Maffei, segretario regionale dell'Inca - Cgil che ricorda «l'ostilità della direzione aziendale ad affrontare il problema dell'inquinamento». A complicare le cose, c’è l'intenzione manifestata della Samim di smobilitate la fabbrica trasferendo gli impianti a Portovesme, un'iniziativa osteggiata dagli operai di San Gavino, tutt'altto che propensi ad essere puniti due volte: con l'inquinamento e con la disoccupazione. Alla necessaria fermezza, i lavoratoti accompagnano dunque l'altrettanto rigorosa cautela. Intanto attendono le conclusioni dell'inchiesta regionale, che il dottor Biagio Bonfiglio. medico provinciale di Cagliari, ha garantito rigorosa e rapida. Per il resto, discutono tra loro sul da farsi, non senza evitare durissimi scontri fra chi attacca a fondo un consiglio di fabbrica ritenuto troppo poco attento ai problemi della salute e disposto a «monetizzare il nocivo» e quanti difendono l'operato dei rappresentanti sindacali aziendali. E mentre in molti patlano di morie di animali, di uomini distrutti dalla piomboemia (l’alta presenza di piombo nel sangue), numerosi sindacalisti si battono perchè la magistratura indaghi fino in fondo, partendo dai primi anni Settanta per appurare responsabilità di medici, dirigenti aziendali, Ispettorato del Lavoro, Inail. « Vorrei avete chiarezza anch'io — ha spiegato il promotore dell'incandescente vicenda, Giovanni Caboni, l'operaio padre dei sette ragazzi ammalati — perchè, ricordiamocelo tutti, quando siamo entrati qui, siamo venuti a lavorare per vivere, non per morire».