Giuseppe Tuveri

Da Il Filo della Memoria 2.0 - Biblioteca Multimediale di San Gavino Monreale (VS).
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Testimonianza di Giuseppe Tuveri

Giuseppe Tuveri, figlio di Arturo Tuveri.

Indice

INTERVISTA

La vita lavorativa di mio padre nella Fonderia di San Gavino M.le iniziò alla fine degli anni ’20 del secolo scorso, quando l’ing. Rolandi, dirigente della Società Montevecchio ed altri, decisero di costruire una fonderia. Mio padre che lavorava presso quella società mineraria, fu tra i primi ad essere scelto per i lavori di costruzione: partecipò alla trivellazione per la ricerca dell’acqua, alle recinzioni dei terreni e alla prima fase dell’edificazione dello stabilimento. I lavori della Fonderia cominciarono nel Gennaio del 1930. Nel Giugno del 1932 cominciò a fumare la prima ciminiera per la prima fusione. Mio padre aveva l’1 come numero di matricola ed era animato da un forte sentimento di attaccamento verso la Fonderia: la metteva sempre al primo posto. Sosteneva che essa non appartenesse solo ai padroni, che ne ricavano profitti, ma anche agli operai, che ne ricavano lo stipendio che permetteva di formare e crescere le loro famiglie con dignità. La Fonderia doveva essere salvaguardata e protetta sia dagli operai che dai dirigenti perché era una fonte di grande sviluppo per tutti. Un’ esempio di questo sentimento di attaccamento si manifestò durante la Seconda Guerra Mondiale, quando a causa delle avverse vicende belliche i collegamenti tra la Sardegna e il Continente vennero meno e cesseranno di conseguenza le comunicazioni tra la Fonderia di San Gavino M.le e la Proprietà. Ci furono momenti di smarrimento e confusione sia tra i dirigenti rimasti in loco e gli operai. Mio padre e alcuni suoi amici, pensando ad una futura ripresa della produzione al termine della guerra, decisero di nascondere in alcune località segrete, per evitare che finissero in mani degli inglesi, i lingotti di piombo già raffinato. La produzione dalle Fonderia dal 1943 al 1944 fu quasi integralmente dedicata ad attività quali conciature di pelli, riparazioni di scarpe e di altri manufatti.

Si racconta che producessero pentolame e attrezzi agricoli, quali vanghe zappe etc.?

Si produceva qualsiasi cosa fosse possibile, anche vanghe e pentole. Questo serviva a mantenere sotto controllo lo stabilimento, sia durante l’occupazione tedesca sia anche quando arrivarono gli inglesi che cercavano il piombo. Ma non riuscirono a trovarlo perché era stato nascosto sottoterra. Sto parlando di diverse tonnellate di piombo, che al termine della conflitto servirà alla ripresa della attività produttiva della Fonderia. Questi fatti determinarono in gran parte dei massimi dirigenti della Fonderia una sorta di sentimento di riconoscenza verso i lavoratori, in particolare per i più anziani. Infatti la Fonderia di San Gavino M.le, fu tra i pochi stabilimenti industriali in Italia all’epoca, nell’ avere ottime relazioni tra i lavoratori e la direzione. Per esempio: Il pacco dono per Natale; le borse di studio per gli studenti figli degli operai più meritevoli. Una realtà all’epoca limitata solo a pochi grandi stabilimenti industriali in Italia. Mio padre sosteneva che nonostante i conflitti, anche aspri, che potevano determinarsi tra i lavoratori e direzione, si dovevano salvaguardare ampi spazi per il dialogo, che poteva portare a risultati di grande soddisfazione per tutti.

Chi ebbe l’idea di costruire la Fonderia di San Gavino M.le?

L’iniziativa di costruire una fonderia fu presa dall’ing. Rolandi, vista l’insufficienza delle piccole fonderie presso le miniere della Sardegna, come ad esempio quella di Iglesias. Quindi si pensò di costruirne una capace di far fronte all’intera produzione dell’intero bacino minerario sardo. Inizialmente per il sito dello stabilimento si penso a Guspini e precisamente al territorio de Sa Pompa, zona ricchissima d’acqua, indispensabile per le attività di una fonderia. Dove si trova la zona denominata “Sa Pompa” a Guspini? Si trova lunga la vecchia strada del “trenino” Montevecchio - San Gavino M.le, vi è accanto anche un casello ferroviario. Forse motivi politici, ma anche perché vicino alla strada statale ed ad un importante snodo ferroviario, che permetteva un più rapido trasporto dei minerali, sia prima che dopo la fusione fu scelta la località di San Gavino M.le.

Accennava prima a motivi politici, può essere più chiaro?

Mi riferivo a mio padre, che sin da ragazzo si è occupato di politica. Questo è suo interresse per l’attività politica senz’altro maturò all’interno al suo ambiente di provenienza. Mio padre era figlioccio del noto Pio Piras, farmacista guspinese, antifascista e dalla frequentazione di uno zio mazziniano.Prima della Fonderia suo padre lavorava alla “Montevecchio”, che mansioni svolgeva, era forse minatore?Non ha mai lavorato come minatore, era meccanico.

Per quanto tempo ha lavorato alla “Montevecchio” e a che età cominciò a lavorare in Fonderia?

Mio padre è nato nel 1907, quando cominciò a lavorare in Fonderia aveva 23 anni. Però ancora prima della “Montevecchio” , aveva lavorato presso il paese di Collinas alla costruzione di una diga. Questo avvenne al termine del servizio militare in Marina in qualità di meccanico. Professione all’epoca ricercatissima! E a quanto dicono molti, la sua professionalità era molto apprezzata e riconosciuta, e fu per questo che fu tra i primi ad essere assunto in Fonderia. La Fonderia venne costruita agli inizi degli anni ’30, periodo caratterizzato in Occidente dalla grave crisi economica, iniziata nel 1929 con il grande crack della borsa New York…La crisi si era manifestata, per quanto riguarda l’Italia e in particolare in Sardegna nel settore minerario, in quanto gran parte del minerale che veniva importato dall’estero non pagava dazi. Mentre il minerale estratto nelle miniere sarde pagava dazi per il trasporto, ad esempio da San Gavino M.le a Porto Marghera. Questo determinò un periodo di crisi che fu risolto con vari conflitti che seguirono.

Quando incomincio l’attività produttiva della Fonderia quale fu l’impatto sulla vita economica e sociale per un paese essenzialmente agricolo come San Gavino M.le, quali trasformazioni ha prodotto nelle vite degli abitanti del paese e del territorio circostante, cosa le ha detto suo padre al riguardo?

La società “Montevecchio”, all’epoca proprietaria della Fonderia, raccoglieva operai di varie zone dei dintorni di San Gavino M.le. Alcuni venivano da Sardara, altri dall’Arcidano etc. Tutti paesi che erano quasi tutti dediti esclusivamente all’agricoltura. La Fonderia ha portato la modernità e con essa uno sviluppo non solo economico, ma anche sociale e culturale e tutto questo nonostante gli aspri conflitti tra operai e direzione. La Fonderia per poter funzionare, soprattutto agli inizi della sua attività, necessitava di personale altamente qualificato.

Le maestranze erano del luogo, oppure provenivano da altri stabilimenti industriali sardi o del Continente?

La gran parte della direzione e dei tecnici, come chimici ed ingegneri meccanici proveniva dal Continente. Mentre ad esempio gran parte dei tornitori e dei fresatori erano sardi e molti provenivano da Guspini e professionalmente erano molto bravi. Ho posto questa domanda, perché ho pensato che nel territorio di San Gavino M.le, ma anche nel bacino minerario, erano presenti sia operai che tecnici con le conoscenze necessarie per far funzionare uno stabilimento come quello della Fonderia di San Gavino M.le, stabilimento industriale di grande importanza…E’ accaduto anche per la miniera di Montevecchio. Vennero chiamate delle maestranze addirittura dall’allora Austria-Ungheria, che furono dei veri e propri maestri per in minatori che lavoravano a Montevecchio. Tornando alla Fonderia quelli che lavoravano, ad esempio, ai forni, erano in gran parte locali ed avevano una preparazione sufficiente per svolgere quelle che erano le mansioni di base.

Scorrendo l’elenco telefonico, alla voce San Gavino M.le, si leggono diversi cognomi non sardi, forse sono discendenti delle maestranze continentali, venute per lavorare in Fonderia?

Si, molti. Ma alcuni erano dei calciatori, acquistati per la squadra di calcio della Fonderia, in gran parte provenivano dal Continente e quando terminavano la carriera calcistica venivano impiegati nella Società.

Suo padre cominciò a lavorare in Fonderia, durante il Fascismo, che aveva reso fuorilegge qualsiasi attività politica e sindacale indipendente dal regime, cosa le ha raccontato del clima all’interno della Fonderia durante la dittatura, quali erano i rapporti tra operai e tra questi e la dirigenza?

Naturalmente vi era, come quasi sempre sotto una dittatura, una attività politico-sindacale clandestina, in quanto era severamente proibita qualsiasi attività pubblica ed era persino proibito parlare di politica. Mio padre venne arrestato e condannato a otto anni di confino, ma ne fece solamente uno e mezzo. Intervenne a suo favore la direzione della Fonderia, che si assunse ogni responsabilità rispetto alle eventuali azioni di mio padre e perché ne aveva necessità in quanto indispensabile alla attività produttiva. Anche se i Carabinieri lo tenevano sotto sorveglianza, anche durante il lavoro.

Qualcuno mi ha detto che durante il fascismo, all’interno dello stabilimento della Fonderia, erano presenti alcuni carabinieri, forse per un “controllo politico” su alcuni operai sospetti di “attività sovversiva”. Cosa può dirmi al riguardo?

Sinceramente non lo so! E’ probabile che la loro presenza, fosse dovuta, non a motivi politici, ma al controllo dell’oro e dell’argento fusi in Fonderia.

Quindi non per motivi politici?

Credo proprio di no! Erano presenti, perché in Fonderia veniva fusa una discreta quantità d’oro e d’argento, che veniva direttamente presa dallo Stato, rappresentato in Fonderia dai carabinieri. E’ giusto sottolineare che sia il piombo, l’oro e l’argento fusi a San Gavino M.le, raggiungeva una purezza di quasi il 100%.

Quali attività svolgeva suo padre, a cosa era addetto, mi ha parlato di meccanica?

Era un aggiustatore. Meccanico.

Ha sempre svolto questa mansione?

Si, quasi sempre. Ma sapeva anche all’occorrenza lavorare alla fresa, con il tornio. Interveniva sull’idraulica. Interveniva dove c’era qualcosa da riparare.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, nel periodo che va dall’autunno del 1943 al 1944, la Fonderia fu abbandonata a se stessa?

Si, come a volte avviene. In quel duro periodo, c’era stata, comunque, da parte di un certo gruppo di lavoratori della Fonderia la consapevolezza di preservare la Fonderia per tempi migliori, nascondendo come mi ha detto il minerale sia ai Tedeschi che agli Inglesi…Sia i Tedeschi che gli Inglesi cercavano sia l’oro che il piombo.

Come maturò l’idea di occultare il minerale, vi era solo lo scopo di preservarlo in vista della fine del conflitto per riattivare la produzione in Fonderia, o vi erano anche altre motivazioni?

Era anche una questione di guerriglia; cioè togliere al nemico risorse che potevano essere impiegate ad uso bellico. Si è occultato il minerale anche per questo, ma anche per riattivare una eventuale ripresa produttiva della Fonderia al termine del conflitto, in modo da garantire il lavoro e lo sviluppo per il territorio circostante.

Questi fatti ricordano fatti analoghi, verificatisi in altri importanti centri industriali italiani, come l’occupazione degli stabilimenti FIAT da parte degli operai, in modo da impedire ai Tedeschi lo smantellamento. Questo dimostra da parte degli operai una grande consapevolezza, non solo verso il proprio interesse immediato, ma soprattutto politico. Le vorrei chiedere come è maturata, tra gli operai, questa sensibilità politica, nonostante il controllo da parte del regime fascista, nei primo decennio della vita produttiva della Fonderia? Questa azione quali consensi o eventuali dissensi ha ricevuto dall’insieme dei lavoratori? E’ stato un fatto corale o solamente limitato ad un ristretto gruppo di operai “particolarmente attivi” politicamente?

In quel periodo era molto difficile fare attività sindacale, pochi avevano la preparazione politica e soprattutto il coraggio. Voglio ricordare alcuni persone che assieme a mio padre erano “particolarmente attivi” politicamente: Amerigo Altea, Flavio Podda e Nigliazzo. Scendevano in Fonderia da Guspini sino allo stabilimento, utilizzando come mezzo di trasporto un carrello ad asta, posto sulla strada ferrata, che andava da Montevecchio alla Fonderia, che in seguito fu modificato con l’aggiunta di un motore appartenente una motocicletta tedesca.

Si può quindi affermare, che nonostante le enormi difficoltà poste dal fascismo, vi era se pur in una fase embrionale una certa attività sindacale e politica?

L’attività politica-sindacale era ristretta ad un limitato numero di persone che da prima si occupavano di politica. L’attività principale consisteva nel preservare e difendere lo stabilimento, anche per coloro, che in quel momento, per paura o per altri motivi non si dedicavano alla attività politico-sindacale. Questo era lo spirito che ha animato in quei tempi duri e bui, l’azione di quei pochi operai, che clandestinamente, lavoravano politicamente.

Quali dirigenti erano presenti nel periodo di “isolamento” della Fonderia, dalla proprietà che stava in Continente?

Non saprei dire con certezza. So che l’ing. Rolandi era via. Forse era presente il capofficina Freni. Mio padre non mi parlò mai dei dirigenti presenti in Fonderia, durante il periodo dell’”isolamento”.

Immediatamente dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l’ing. Rolandi convocò un “assemblea” che riuniva coloro che lavoravano in Fonderia; gli operai, i tecnici, i dirigenti. L’obiettivo era motivare tutti a riprendere il lavoro con spirito di reciproca collaborazione per la ripresa dell’attività produttiva della Fonderia, rendendo anche gli operai partecipi delle sorti dello stabilimento con la vendita a questi di pacchetti azionari. Cosa può dirmi al riguardo?

Su quell’ avvenimento non saprei dirle niente. Quello che ricordo e che l’ing. Rolandi era molto legato agli operai. Questa sua disponibilità si dimostrò soprattutto nei momenti di massimo scontro tra gli operai e la direzione, come lo sciopero del Febbraio del 1949, anche se non poté sottrarsi alle decisione dalla Direzione Generale.

I licenziamenti quindi non furono decisi in loco?

No. Fu una decisione presa dalla Direzione Centrale della società. Ci fu un grande errore politico alla base dello sciopero del 1949. La faccenda poteva essere risolta in meno di 24 ore, perché si scioperava anche per la contingenza e la “Montevecchio” era disponibile ad accettare le richieste degli operai su quel punto. Ma l’allora segretario del P.C.I. della Sardegna, Velio Spano, diede la direttiva che anche gli operai della Società Montevecchio si unissero allo sciopero delle miniere dell’Iglesiente. La vertenza che a Montevecchio poteva risolversi in brevissimo tempo, ma che durò per oltre un mese. Provocando nelle maestranze uno stato di confusione. Questi non sapevano più cosa fare e molti si rivolsero a mio padre per avere consiglio. Lui gli invitò a rivolgersi a chi aveva indetto lo sciopero. Gli scioperanti furono sconfitti, e fu applicato in Fonderia il patto aziendale. Mio padre non firmo e per oltre venti anni percepì, pur essendo un operaio specializzato 10 lire in meno di un manovale comune. E siccome non venne licenziato, sorsero voci malevoli che fosse una sorta di protetto dell’ing. Rolandi, Queste voci lo addolorarono molto.

Una sconfitta quella dello sciopero del 1949 che si potrò sino al 1966.

Sino al 1961, perché il patto aziendale durò circa 20 anni.

Dall’immediato dopoguerra al 1949, in Fonderia, secondo alcune testimonianze, si susseguono una serie di scioperi, più per motivi politici che per vertenze sindacali. Il grande sciopero del 1949, risulta essere una sorte di spartiacque, tra la ripresa della libertà anche all’interno della Fonderia e il suo congelamento per circa 20 anni. Cosa può dirmi al riguardo?

Durante quel periodo fu istituita la Commissione interna, di cui fece parte anche mio padre. Per quanto riguarda quelli scioperi, probabilmente potevano essere motivati, non solo da motivi politici, ma principalmente da richieste per il miglioramento delle condizioni di lavoro etc. Penso che gli scioperi di quel periodo non siano durati più di uno o due giorni. Con l’ing. Marini i rapporti erano un pò freddi, ma in seconda battuta interveniva per la risoluzioni dei problemi più spinosi l’ing. Rolandi.

Ma l’ing. Rolandi interveniva anche quando non aveva incarichi in fonderia?

Lui era amministratore delegato della Società. Ho conosciuto tre direttori, dall’ing. Pinetti, passando per Marini (Molinas e il dottor Ibba come vicedirettore) quando la Fonderia passò all’ENI. Poi cominciò il periodo di declino. Mio padre rimproverava i Sangavinesi, di non essere riusciti in qualche modo a salvaguardare questo patrimonio. Ad esempio, quando intorno alla meta degli anni ’70, nel ’74 o ’75, ci fu a San Gavino M.le una manifestazione per i casi della piomberia che aveva colpito diversi bambini a causa dei fumi tossici fuoriusciti dalla Fonderia, non riusciva a capire perché erano state costruite diverse abitazioni nelle vicinanze della Fonderia senza tenere conto dei fumi che fuoriuscivano dai comignoli dello stabilimento. La risoluzione del problema sarebbe stata alquanto semplice, sarebbe bastato costruire in altre zone non esposte ai fumi. Un esempio indicativico di quanto sto dicendo è il villaggio Sartori.

In prossimità dell’ospedale…

Per quanto riguarda l’ospedale di San Gavino M.le, vi parteciparono alla sua costruzione diversi operai della Fonderia in qualità di tecnici, meccanici, idraulici etc. Questo fu permesso dall’ing. Marini, senza che alcuno di questi operai venissero pagati, finché l’ing. Rolandi non pose un veto.

Ritornando allo sciopero del 1949…

Come la storia delle industria più volte ci ha raccontato, ogni azienda alla sua “corte di lacche” pronta a servire in ogni cosa i “padroni”, bisogna però ricordare, a proposito dello sciopero del 1949, che l’ing. Rolandi cercò di moderare le ritorsioni nei confronti degli operai che avevano firmato il patto aziendale, tanto che introdusse nel protocollo che doveva essere firmato, un chiaro riferimento al non licenziamento degli operai. Perché era uomo di idee liberali e di grande umanità, che fece investire parte dei profitti nella costruzione della colonia di Montevecchio per i bambini degli operai. Preferiva investire parte dei profitti delle società in questo modo che divederli con gli azionisti che non avevano mai messo piede in miniera o nella Fonderia. Vennero comunque licenziati molti iscritti alla C.G.I.L. e ai partiti di sinistra, socialisti e comunisti, tra cui anche il fratello di mio padre. L’intervento di moderazione dell’ing. Rolandi venne alla fine sconfitto dall’intransigenza della maggioranza dei membri della Direzione Generale della Società Montevecchio proprietaria della Fonderia.


Intervista a Giuseppe Tuveri, rilasciata in data 11.08.2005.