Crespellani ha detto
E' andata così. Nell'autunno del 1947, quando la Sardegna faticosamente risorgeva dalla prostrazione della guerra, e dovunque i Sardi davano prova di una indomita energia e di uno spirito di ripresa, anche ad Iglesias si creò in alcuni cittadini benemeriti, in alcuni capitani d'industria, un generoso entusiasmo che doveva concretarsi in un'idea di grande avvenire. « Diamo una fiera alla Sardegna. E poiché Iglesias è il cuore pulsante della zona mineraria, la nostra città sarà la degna sede di questa manifestazione ». Questo discorso, in questi termini approssimativi, venne fatto da Carlo Metani, che era allora sindaco della città. Le sue parole, come M buon sente entro la buona terra, dettero subito frutto e trovarono l'adesione entusiastica di una pattuglia ardimentosi in cui spiccavano per competenza e fervore, i dirigenti delle miniere Dapprima fu uno scambio di idee, di grandi idee che ad occhi profani della cosa potevano sembrare forse azzardate; poi ci si cominciò a interessare della cosa un po' da ogni parte; gli anziani ne parlai ano al caffè o all'ombra del brutto monumento innalzato a Quintino Sella. Cominciò la spola delle personalità dell'industria fra le miniere, le fabbriche e il Municipio, che divenne addirittura un Quartiere Generale dove si cominciò a discutere l'organizzazione per attuare il vasto complesso della manifestazione. I promotori, oltre le difficoltà determinate dalla novità dell'impresa, dai problemi complessi che si connettono naturalmente con una così importante manifestazione, dovettero affrontare animosamente quella sordida diffidenza, che è peggiore dell'ostilità dichiarata, quello scettico disfattismo che è purtroppo una delle prerogative dei Sardi. Ma contro la pigrizia, l'apatia e l'ignavia dei più, ebbe ragione l'entusiasmo di quei pochi. E il miracolo fu compiuto. La quiete provinciale della cittadina mineraria fu presto turbata da un fracasso di macchine e di strani ordigni, che sostarono nella notte iglesiente di fronte al Civico Mercato e risvegliarono gli echi del Marganai sepolto nel sonno. Iglesias si trasformò in un bivacco sonante, in cui i turni del lavoro non avevano sosta, tanto che la notte venne sconfitta e fu realizzato in pochi giorni un programma che normalmente richiede mesi di preparazione e di attività. Idee appena
abbozzate dovevano essere subito tradotte sul piano della pratica, della realtà concreta, vogliamo dare sui binari dei carrelli o sui cingoli dei trattori che moltiplicavano al pari degli uomini le loro energie. E i risultati? Ognuno riconobbe che avevano l'impronta della fretta, che il tema, appena enunciato, non era altro che la prefazione chiara, la parola» concreta di coloro che negli anni successivi avrebbero portato a termine l'opera. All'inizio, quindi, soprattutto idee germogliale generosamente e faticosamente attuate nella fretta e nella diffidenza. Ma il buon seme era stato gettato. L'entusiasmo divenne fede. Ed essendo ogni buona idea la sintesi totale dei valori dello spirito, dell'ingegnosità umana, nacque e piacque il felice connubio concretatosi fra il pennello e il piccone, fra il bulino e la perforatrice, in una parola fra l'Arte e l'Industria. E questa è proprio la formula tipica della Fiera di Iglesias che intende valorizzare i prodotti di ogni campo dell'attività isolana. E a chi varca le soglie del recinto fieristico, vien subito da notare l'armonioso affiatamento che esiste fra tutti gli espositori indistintamente. I Sardi, i buoni Sardi, sì erano dati la mano, avevano fatto tacere rivalità provinciali e paesane per battersi lealmente e combattere insieme la battaglia per la rinascita isolana. L'atto di fede ebbe i suoi sacrifici. Quando ad un dirigente della manifestazione, spossato dalle continue veglie trascorse sotto le tettoie degli stands, un illustre visitatore domandò quale fosse il suo più grande desiderio, quest'ultimo sentì rispondere: <<una calmina per l'emicrania. Nient'altro>>. Ed infatti, il giorno dell'inaugurazione, i dirigenti della Fiera avevano gli occhi assonnati, te palpebre semichiuse, distratte. Ma c'era sulle loro labbra un sorriso di pazienza e di fiducia, Vedevano In alto, sulle lamiere, al quieto sole di Ottobre, lo sventolio della loro bandiera in cui campeggiavano i colori rosso e azzurro della città mineraria. Eravamo nel 47. Nell'isola persistevano evidenti le stimmate della catastrofe. Al dileguare delle ultime jeeps d'occupazione, saliva sui pennone lo stendardo della nostra rinascita.