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Ettore Spano. La mia storia (10 giugno 2007)
Indice
- 1 I primi dieci anni della mia infanzia
- 2 Il mio secondo decennio d’infanzia
- 3 Il mio secondo ventennio. L’avvio al lavoro
- 4 La mia avventura in Fonderia (1962-1982)
- 4.1 Posizione Geografica
- 4.2 I reparti di lavoro
- 4.3 Breve descrizione funzionale di ogni reparto
- 4.3.1 L’officina meccanica
- 4.3.2 L’officina elettrica
- 4.3.3 Il magazzino generale
- 4.3.4 L’officina degli edili
- 4.3.5 Il piazzale arrivi
- 4.3.6 Il piazzale scorie
- 4.3.7 Il reparto di macinazione
- 4.3.8 Il reparto di formazione Miscela
- 4.3.9 Il reparto Desolforazione
- 4.3.10 Il reparto fusione
- 4.3.11 Altro
- 4.3.12 Alloggi esterni
- 4.3.13 Servizi esterni
- 4.4 Organizzazione del lavoro e aspetti umani
I primi dieci anni della mia infanzia
Sono nato il 3 di Novembre dell’anno 1938 a San Gavino Monreale in via Amsicora. Ho vissuto i primi anni della mia infanzia in una casa a due piani della via Umberto I, di fronte alla casa dei miei nonni materni. Nonno Esu (Egidio) e nonna Esu (Bonaria Mamusa). La via Umberto I si deriva dalla via Roma, proprio di fronte alla Chiesa di Santa Chiara e quindi dalla piazza principale dove c’è il Municipio e a fianco in quel tempo anche la scuola elementare di San Gavino, che io frequentai. Di qui i primi anni, sono tre i ricordi indelebili di fatti che la mamma in seguito, più volte, mi ha ricordato: il primo fatto avvenne che avevo appena un anno, fu l’infortunio al braccio destro del babbo, avvenuto nella Fonderia di Piombo di San Gavino Monreale; il secondo fatto fu il mio infortunio all’occhio destro; il terzo fatto fu la morte della mia adorata sorellina Paola. Frequentavo con profitto la quarta elementare, il babbo volle mandarmi a ripetizione dall’insegnante signorina Giannetta Sitzia, perché mi preparassi per l’esame di ammissione alla prima media. Non passai l’esame e mi iscrissero alla quinta elementare. Continuai sempre con la signorina Giannetta Sitzia la preparazione per l’esame di ammissione alla 1° media. Fui promosso a pieni voti e mi iscrissero alla classe 1° media della scuola privata , Beata Vergine della Speranza, di San Gavino, diretta dal Vescovo di Ales Mons. Antonio Tedde.
Il mio secondo decennio d’infanzia
Frequentai i primi due anni della Scuola Media a San Gavino con molto interesse e piacere ma con altrettanta incomprensione da parte di alcuni insegnanti e dello stesso Vescovo Mons. Tedde. Avevo un fisico atletico e grazie alla guida del mio insegnante di educazione fisica, sig. Carletto Usai, partecipai a diverse gare studentesche di atletica leggera a San Gavino e anche nello stadio Amsicora di Cagliari vincendo sempre. Il buon Don Lixi che ci seguirà da vicino, mi scrisse alla gara della finale Provinciale Sarda a Sassari, per la corsa veloce dei 100 metri , organizzata dal “Corriere dello Sport”. Vinsi la gara e mi consegnarono la medaglia d’oro che regalia a Gigliola e l’attestato di “Campione sardo” dei 100 metri. Con tale vittoria avevo altresì acquisito di partecipare alle gare regionali a roma nello Stadio Olimpico. Non andai per una incomprensione che nacque tra me e il dirigente Cagliaritano preposto per farci da accompagnatore. Sarei andato a Roma assieme ad altri due atleti amici. Uno di Sassari, campione di salto in alto e l’altro di Sanluri, campione del lancio del disco. Morirono entrambi sulla vettura giardinetta Fiat, in uno scontro contro un mezzo pesante al rientro delle prove dell’Olimpico. Se fossi andato a Roma, vista l’amicizia che ci legava, certamente in quella vettura ci sarai stato anch’io . Non c’ero e mi sono salvato. Li ho pianti per tanto tempo.
Non partendo più frequentai la scuola Media Vescovile di San Gavino, per la gia accenata incomprensione , mi iscrissi al “Siotto Pintor” di Cagliari dove presi la licenza media e poi mi iscrissi all’Istituto Tecnico industriale statale di Cagliari per conseguire il diploma di perito elettromeccanico che raggiunsi dopo i previsti 5 anni di corso. L’attestato di diploma parte la data del 31 luglio 1961, all’età di 22 anni.
Il mio secondo ventennio. L’avvio al lavoro
Acquisito il diploma, mi fu proposto, tramite la Segreteria dell’Istituto Tecnico industriale, di andare a lavorare in continente e precisamente in Piemonte, alla FIMET s.p.a, Fabbrica Italiana di motori Elettrici di Torino, nel Comune di Bra in Provincia di Cuneo. Parti in nave fino a Civitavecchia e da qui in treno fino a Bra. La fabbrica, lo seppi sul posto, era del gruppo FIAT e quindi degli Agnelli. Fui accolto molto bene e mi fu subito assegnato il compito di coordinatore responsabile della manutenzione degli impianti e delle macchine dello stabilimento. C’era con me un altro sardo, perito meccanico, che però si occupava della produzione. Il personale che da me dipendeva, parlava in dialetto piemontese che io non comprendevo bene e benché li pregavo di dialogare in italiano non mi obbedivano. Decisi pertanto di lasciare quel posto. Rassegnai le mie dimissioni al Direttore il quale però dopo aver comunicato il fatto alla Direzione Generale di Torino mi disse che la Direzione mi proponeva di andare a Torino alla FIAT dove mi avrebbero assegnato il compito di dirigere la linea di produzione di Micromotori e generatori elettrici. Quella sera, salutai il mio Direttore e tutti i miei compagni di lavoro a Bra e l’indomani mattina di buon’ora presi il treno per Torino. Era una giornata invernale e nevicava. Quando il treno giunse a Torino, la stazione era immersa nella neve. Mi indicarono di prendere un Pulman per giungere alla Sede. Avevo con me due valigioni che a stento in quella neve, riuscivo a trascinare decisi pertanto di depositarli nel Bagagliaio della Stazione e mi misi in attesa. Passo più di un’ora ma del Pulman nessuna traccia. Mi dissero che tale ritardo era dovuto allo spesso strato di neve. Sentivo moltissimo la nostalgia di casa, della Sardegna, mi mancava tutti. Mi sentivo estraneo in quel posto. Decisi di andarmene. Chiesi a che ora partiva il primo treno per Genova in coincidenza con la nave per la Sardegna. Mi risposero, fra circa ½ ora. Feci subito il biglietto di sola andata per Genova e sali sul treno. Giunto a Genova, raggiunsi facilmente, secondo le indicazioni la biglietteria per la nave. L’imbarco fu immediato. L’indomani mattina la nave era gia arrivata a Cagliari. Nella tarda mattinata giunsi col treno a San Gavino e nel primo pomeriggio ero già a Guspini con Gigliola. Tutti furono stupiti di vedermi. Non avevo avuto il tempo di informare nessuno del mio rientro. Babbo mi propose di lavorare nella sua officina meccanica. Dopo qualche giorno (settimana) mentre ero intento a saldare delle conchiglie di ghisa della Fonderia di San Gavino conobbi l’ing. Elio Freni, vicedirettore dello stabilimento in visita in Officina per vedere alcuni lavori che aveva dal qualche giorno commissionato la babbo. Saputo che ero un perito elettromeccanico e che avevo lasciato la FIMET di Torino, mi propose di andare a lavorare con la Monteponi e Montevecchio S.p.a. Gli diedi la mia disponibilità. Dopo qualche giorno, fui chiamato a Montevecchio per un colloquio con l’ing. Freni padre appunto dell’ing. Freni, parlai con lui per oltre un’ora visitando anche l’Officina. Mi confermò dopo tale tempo il suo parere favorevole alle mia assunzione ma dopo aver sentito suo figlio, l’ing. Freni. Dopo circa due giorni, fui invitato da un impiegato della Fonderia, che venne a trovarmi nell’Officina del Babbo, ad andare in Fonderia a contattare l’ing. Freni. Andai subito in Fonderia e la guardia in portineria contatto telefonicamente l’ing. Freni, il quale Gli disse di indirizzarmi subito al suo ufficio. Lo raggiunsi e lui subito, senza mezzi termini, mi disse che dopo aver sentito il parere di suo padre, che sentito lui, il padre aveva espresso il desiderio di assumermi a Montevecchio. Lui, l’ingegnere riteneva più giusto anche per me, che venissi assunto in Fonderia. Mi chiese quindi il mio assenso. Io glielo diedi, e lui sentito il Direttore l’ing. Mario Marini, chiamò l’impiegato addetto all’assunzioni. Quando questi venne in ufficio, gli disse di sbrigare immediatamente le formalità necessarie, che l’indomani potessi entrare in servizio in Fonderia. Quando più tardi raccontai tutto ai miei genitori, scoppiarono di gioia e il Babbo mi disse:<<Per andare in Fonderia, ti regalerò una bicicletta>>. E così fece dopo un giorno o due comunicai la notizia anche Gigliola e ai suoi genitori e anche loro mi manifestarono la loro gioia.
La mia avventura in Fonderia (1962-1982)
Benché fossi stato assunto per il reparto di Manutenzione, l’ing. Elio Freni, volle ce iniziassi il mio lavoro nell’Ufficio Tecnico con il sig. Giuseppe Perrier. L’ing. Freni mi disse, che al reparto di Manutenzione; il capo era il sig. Naimi Salvatore, perito meccanico, anche lui diplomato all’Istituto Tecnico industriale di Cagliari, sarei andato dopo cinque o sei mesi. In realtà, dopo solo due mesi, compiacendosi del fatto che avevo dimostrato di saper disegnare e di essermi bene documentato sugli impianti , fui avviato in Officina Meccanica come assistente del Capo Reparto Naimi. Fui molto contento di tale riconoscimento , da parte dell'ing. Freni. Effettivamente quel mio primo periodo nello Ufficio tecnico, mi consenti di conoscere subito in modo dettagliato lo Stabilimento che adesso vorrei se pur sinteticamente esporre.
Posizione Geografica
La Fonderia è geograficamente situata a Nord-Ovest di San Gavino. Il visitatore che arriva a San Gavino, veniva immediatamente attratto dalle sue due Ciminiere, alte ognuna oltre i 100 metri di forma affusolata e contornata ciascuna a circa 30 e 40 metri da due vasche per l’acqua. Sulla sommità di entrambe si ergevano i Parafulmini e alcuni anni dopo anche potenti fari, lampeggianti tutta la notte. Tutta l’area dello Stabilimento era recintata con alte mura realizzate con mattoni rossi. L’ingresso principale era a sud. Ma latri tre ingressi, a nord-est e a nord-ovest, la caratterizzavano per le funzioni che in seguito evidenzierò.
I reparti di lavoro
Lo stabilimento era così organizzato dall’ingresso principale a sud, si accedeva alla Portineria, un piccolo fabbricato con da un lato il peso per grossi mezzi e la guardiana e dall’altro lato, una stazioncina ferroviaria che controllava i vagoni ferroviari provenienti dalla stazione della FF.SS, dall’altro il locomotore e i vagoncini sul binario ridotto decauville in transito da e per la miniera di Montevecchio. I visitatori, venivano accompagnati negli uffici, mentre i mezzi , se carichi di minerale, pesati e avviati allo scarico nel piazzale arrivi, se invece carichi di merce, avviati al Magazzino Generale. Il personale dipendente invece, se di categoria impiegatizia andava al palazzo degli uffici amministrativi, sede anche della direzione dello Stabilimento, dove al piano terra adiacente il centralino telefonico e con l’orologio di timbratura, si timbrava la cartella e poi si dirigeva al suo posto di lavoro. Se invece di categoria operaia, andava presso il locale degli spogliatoi, anch’esso adiacente agli Uffici Amministrativi dove timbrava e poi negli spogliatoi si cambiava indossando la tuta di lavoro e quindi si dirigeva al proprio reparto di lavoro.
I reparti di lavoro erano:
- Le officine meccaniche e elettriche
- Il magazzino generale (rimessa macchine, automezzi, ect.).
- L’officina degli edili
- Il piazzale arrivi
- Il piazzale scorie
- Il reparto di macinazione
- Il reparto miscela
- Il reparto desolforazione
- Il reparto fusione
- Il reparto raffinazione elettrolitica
- Il reparto rame
- Il reparto argento – oro - bismuto
- Il reparto pallini
- Il reparto sottoprodotti
- Il laboratorio chimico.
Negli anni sessanta il personale dipendenti era circa 900 unità lavorative.
Breve descrizione funzionale di ogni reparto
L’officina meccanica
L’officina meccanica aveva le seguenti specializzazioni; 3 impiegati (2 tecnici, 1 amministrativo) 2 capi operai. Aggiustaggio meccanico ( 6 addetti + 6 turnisti). Tornuria, 6 addetti Fresatura, 2 addetti Fucinatura, 3 addetti Ingrassaggio, 2 addetti Saldatura carpenteria leggera, 4 addetti Saldatura carpenteria pesante, 6 addetti Viplisti, 2adetti Falegnameria, 2 addetti Magazzino e Magazzino ricambi costruiti in officina, 2 addetti.
L’officina elettrica
L’officina elettrica aveva le seguenti specializzazioni (1 impiegato + 1 capo operaio):
- Riavvolgimento motori elettrici, 2 addetti. - Cablatura quadri elettrici, 2 addetti - Manutenzione impianti elettrici di illuminazione, 2 addetti - Manutenzione delle linee elettriche di Media e bassa tensione, 2 addetti - Manutenzione della sottostazione di trasformazione 70.000/15.000 volts, 2 addetti - Manutenzione della Cabina di Conversione , 1 addetto - Manutenzione dei quadri elettrici e relatioi, 1 addetto e 4 turnisti.
Il magazzino generale
Il personale era formato da impiegati, operai e manovali. Impiegati: Il capo magazzinieri e due impiegati. Tre operai e quattro manovali.
L’officina degli edili
Il personale era formato da un capo del personale impiegato e 2 capi operai e quattro operai. Tutti i reparti di Produzione dipendevano dal Capo della produzione e il suo vice e dai rispettivi capi Reparto. Il servizio amministrativo era dislocato sugli Uffici presso la direzione dello Stabilimento per tutti reparti di Produzione dove si faceva anche la contabilità industriale.
Il piazzale arrivi
Due grosse gru a cavalletto con ognuna un operatore a bordo sistemato su una cabina elettrica di alimentazione e comando di tutti i motori , posto sotto il carrello provvedevano alla movimentazione di tutti i minerali e materiali in arrivo sistemandoli in modo ordinato nelle aree relative. In particolare i minerali dopo una prima miscelazione, venivano ammucchiati presso la linea di Telfer, mezzo con benna che correva su di una monorotaia collegata a mezzo tralicci in ferro con il Reparto formazione miscela e comandato da un operatore a bordo nella cabina elettrica.
Il piazzale scorie
Il piazzale scorie era principalmente servito da una gru a cavalletto che aveva il compito di ammucchiare le componenti di scoria provenienti dal forno a vento rettangolare Le componenti di scoria venivano poi riprese e ammucchiate sulla discarica fuori dalle mura dello stabilimento. In seguito modificammo lo scarico delle scorie dal forno a vento nei contenitori di ghisa per il raffreddamento delle scorie. La scoria fusa fu fatta cadere su un scivolo sul quale scorreva dell’acqua. Questa raffreddava e gramulava la scoria e la convogliava su di un nastro che la scaricava su un cassone motorizzato che la sollevava e quindi la scaricava all’interno di una grossa tramoggia, sotto la quale scorreva un nastro trasportatore che la convogliava nella discarica sotto le mura. Qui una autopala la riprendeva e la spargeva nella discarica.
Il reparto di macinazione
Il reparto di macinazione aveva il compito di macinare la galena in pezzi provenienti dalla miniera di Montevecchio. Tale Galena arriva da Montevecchio in un primo tempo con i vagoni Decauville e venivano scaricati sul piazzale sotto la linea del Teler. In seguito anche con camion. Il Telfer riprendeva con sua benna la galena e la depositava nelle tramogge della macinazione. Da queste la galena mediante nastro trasportatore venivano convogliate su frantoi a mascelle anche su frantumatore a palle. Da questi tramite un nastro trasportatore e un elevatore a tazze la galena ridotta in polvere veniva trasportata mediante nastro trasportatore sulle tramogge del reparto formazione della miscela.
Il reparto di formazione Miscela
Il reparto di formazione miscela era formato da grandi tramogge che venivano alimentate dai telfer e da elevatori a tazza della macinazione. I materiali, dalle tramogge, in un primo tempo venivano estratti con comandi manuali di operatori che li azionava stando seduti su di un carrello motorizzato, con a bordo un secchione, che scorreva su di un binario decauville. In seguito su indicazione dell’ing. Freni, motorizzamo e automotorizzamo tutto il sistema di formazione miscela fino al trasporto nelle tramogge del reparto Desolforazione per il ciclo di agglomerazione. Il conglomerato veniva poi frantumato nel Reparto Desolforazione e dopo una vagliatura veniva trasportato con secchioni al forno a vento rettangolare, per la fusione e la produzione del piombo bruto.
Il reparto Desolforazione
Il reparto di Desolforazione era più grande dello stabilimento per numero di macchine e di impianti. Era composto da:
- N. 3 Dwight–Lloyd (i desolforatori)
- N. 3 rompizolle
- N. 3 vibrovagli
- N. 3 carrelli motorizzati per i trasporti dei secchioni carichi di agglomerato per il forno a vento.
- N. 2 corriponte
- N. 3 filtri a secco
- N. 1 cabina elettrica.
Il reparto fusione
Il reparto fusione era l’ultimo reparto del ciclo di lavorazione dei minerali di piombo, la galena. Era formato da tre forni a vento. Il primo e il più importante era il forno a vento rettangolare altri due sempre a vento ma circolari. L’agglomerato proveniente dalla Desolforazione veniva scaricato sulla parte alta del forno a mezzo secchioni circolari sollevati e trascinati, da un carroponte comandato da un operatore che con in mano la pulsantiera era appesa al carrello del carroponte, camminava sul piano inferiore del reparto alimentando così il forno. L’agglomerato all’interno del forno veniva riscaldato fino ad una temperatura di fusione e nella parte bassa fondendo si separava il piombo dalle scorie. Il piombo più pesante, scendeva nel fondo dal quale veniva calato a mezzo di un canale di ghisa e versato su crogioli. La scoria sempre fusa era più leggera del piombo e veniva spillata e colata su un canale. Che nella fase di caduta, veniva raffreddata da un getto d’acqua continuo che la gramulava e cadendo sul tappeto di gomma di un nastra trasportatore veniva scaricato nel piazzale. La scoria dal quale veniva ripresa e trasportata nel piazzale di accumulo o discarica dello Stabilimento.
Altro
- Il Reparto di raffinazione elettrolitica
Il rame e sottoprodotti
- Il reparto argento, oro, bismuto
- Il reparto pallini e micropallini
- Il laboratorio chimico
- Il centro ricerche
- Pozzi artesiani, vasche di raccolta e impianti di sollevamento e distribuzione
- Impianti di trattamento fanghi
- Impianti acque reflue
- Uffici - Direzione Stabilimento – Amministrativo
- Contabilità, acquisti, personale, tecnico
- Sala riunione
- Infermeria
- Garage per ambulanza e Autovetture
- Spogliatoio Operai
- Cucina – Mensa operai
Alloggi esterni
- Palazzina A – Direttore, Capo Officina
Capo reparto Pallini – centro festeggiamenti
- Palazzina B – Responsabile Ufficio Amministrativo
Acquisti, Contabilità, Personale Tecnico
- Palazzina C – Responsabile Magazzino
Generale – officina edile, collaboratori Responsabile officina elettrica e meccanica Ospiti – Sala riunioni
- Palazzina D – Assistenti Capi Reparto e Capo laboratorio chimico
- Palazzina E – Assistenti Capi Reparto
Villaggio Sartori – Alloggi famiglie operai
Servizi esterni
- Infermeria in Paese (Viale Rinascita); per impiegati e famiglie operai
- Negozio alimentari in via Villacidro
- Spaccio Aziendale Italpiombo
- Bar e sala giochi
- Campo Sportivo S. Lucia, calcio e atletica
- Azienda Agro pastorale
- Servizi idrici
- Colonia marina di Carloforte e Funtanazza
- Colonia Montana di Montevecchio per i figli di tutti (operai ed impiegati)
Organizzazione del lavoro e aspetti umani
In quel tempo, anni 60 – 70, si lavorava quarant’otto ore la settimana e la domenica mattina, le officine di manutenzione, dovevano provvedere a tutti quei lavori che non si era potuto fare nel corso della settimana, pena la fermata degli impianti e quindi la perdita di produzione. Bisognava essere anche creativi e pertanto, in funzione degli obiettivi di maggiore produzione, migliore qualità, minor tempo per produrla e quindi minor costo, si raggiungevano, con il sacrificio, il rispetto reciproco assoluto, l’obbedienza e l’amor reciproco, si era ben coscienti del fatto che la meccanizzazione e l’automazione oltre ad aumentare la qualità e la quantità del prodotto, riduceva anche il lavoro degli addetti ma non solo, diminuiva anche il rischio degli infortuni e con una minore o totale diretta esposizione, diminuiva anche la possibilità di contrarre il Saturnismo, la silicosi e il cancro ai polmoni che bene conoscevamo, perché era il prezzo che hanno pagato i nostri padri e che nel tempo che verrà, anche noi, forse, pagheremmo. Nessun operatore veniva licenziato, veniva impiegato in altri parti. Tutti noi, arrivando a conoscere l’ambiente, le persone con le quali si lavorava, ma anche i benefici che venivano dai servizi esterni che la Società aveva creato per i dipendenti e le loro famiglie, come già elencati in precedenza, quali la farmacia con il suo medico e l’infermiere in paese, il negozio degli articoli alimentari o spaccio aziendale, il bar e la sala giochi, dove era possibile incontrare gli amici, il campo sportivo dove i nostri figli guidati da tecnici rinomati potevano praticare la ginnastica e gli sport e inoltre, le colonie marine e montane dove i nostri figli potevano trascorrere un mese di vacanza in estate dopo la chiusura delle scuole. Ma oltre a tutto questo, venivano anche assegnati appartamenti dove vivere, vedi la casa A-B-C-D-E per gli impiegati e il villaggio Sartori per gli operai con famiglia. E ancora, grazie alla creazione di una azienda agropastorale si riceveva gratuitamente ogni giorno, un litro di latte e della verdura fresca. Una volta alla settimana, della carne fresca appena macellata ed ancora, una volta l’anno per chi aveva il riscaldamento con termosifoni diversi quintali di legna da ardere a prezzi quasi gratuiti. La Società, inoltre concedeva prestiti di denaro a bassissimo tasso d’interesse ai lavoratori bisognosi per cause particolari. Tutto questo era ben noto a tutti e pertanto tutti eravamo ben felici di lavorare per la Fonderia del piombo di San Gavino Monreale e per la Miniera di monte vecchio e benché fossimo distanti circa 15 Km eravamo legati dalla Ferrovia della Società e da un affetto e un amore non facilmente descrivibile. Ci legava anche la Chiesa, con sempre presenti nelle diverse Cerimonie, il vescovo di Ales, i parroci di San Gavino M.le e Guspini, i preti e le suore. Erano scarsamente presenti i politici e i sindacalisti. Grazie a questo clima di serenità e di amicizia che ci legava, nel giro di circa due anni, la produzione del piombo raddoppiò. Passò da circa 1600 tonn./anno a 30.000 tonn/anno. E così anche i sottoprodotti, argento, oro, bismuto e altri. Ma praticamente questo come fu possibile? Fu possibile grazie al clima suddetto ma anche all’ingegno, alla creatività e all’impegno di tutti. Brevemente e per grandi linee. Partimmo dal Piazzale arrivi, luogo nel quale arrivavamo, per mezzo di camion e di vagoni ferroviari trascinati da locomotori delle FF.SS e col trenino da Montevecchio tutti i materiali. Nel piazzale arrivi veniva fatto dalle gru cavalletto, una prima mescolanza e questo poi portato sotto il tiro dei Telfer che scorreva su monorotaia, sorretta da altri tralici in ferro, lo portavano (la mescolanza e altro) all’interno dei reparti scaricandoli nelle tramogge, del reparto formazione miscela, del reparto desolforazione. Il lavoro delle due Gru a cavalletto era aumentato. Ma la fatica degli operatori a bordo era diminuita. Come? Modificammo i quadri elettrici a bordo di ognuno, eliminando i pesanti Controller di ogni motore elettrico con i quali l’operatore , stando in piedi per otto ore azionava: lo spostamento delle gru, lo spostamento del carrello che portava la Benna e la sua apertura e chiusura, il sollevamento e la discesa della Benna e la sua apertura e chiusura per la presa del materiale, I nuovi quadri erano formati da gruppi di contattori trifase, da relè di comando e controllo pulsanti. Pertanto l’operatore, non più in piedi, ma seduto, azionava i pulsanti che comandavano l’eccitazione dei relè e questi a loro volta i contattori di potenza di ogni motore. Questi quadri elettrici, li abbiamo progettati costruiti, cablati e poi montati e collegati ai motori, col personale dello Stabilimento. Con questo principio, abbiamo modificato tutti gli azionamenti dei cicli di lavorazione dei Reparti di produzione del Piombo, il Piazzale arrivi, la macinazione, la miscela, la desolforazione, la Fusione e la raffinazione. In seguito anche delle gru del piazzale scorie del Reparto Rame. Le macchine sono diventate più affidabili, più sicure e soprattutto più produttivi e meno gravose per gli operatori che le usavano. Nel ciclo formazione miscela, è stato eliminato il carrello elettrico che portava a bordo l’operatore che lo azionava attraverso un controllo a leva. Il carrello spostandosi gli consentiva di azionare manualmente le leve degli elmi che permettevano lo scarico delle tramogge. Così facendo, ogni volta, veniva immesso in una nube di polvere. La modifica, anch’essa ideata e realizzata da noi , ha portato l’operatore all’interno di una cabina, seduto di fronte ad un pannello di comandi con relè, pulsanti e lampade di segnalazione. Aveva la possibilità del comando singolo e del commando in catena automatico. Il nuovo sistema di meccanizzazione automatici di formazione della miscela e il suo trasporto sul mescolatore e poi sempre in automatico sullo SKIP e sul nastro che a sua volta alimentava le tramogge di tre desolforatori DWIGHT-LLOYD, dove sui relativi carrelli la miscela mediante bruciatori, veniva desolforata e agglomerata. L’agglomerato, veniva quindi frantumato e riversato su tre Vibrovagli che che lo riversavano sui secchioni su carrelli elettrici che venivano azionati da tre operatori , sui quali secchioni , pressando sotto le tramogge delle cariche, veniva scaricato del carbone. Questi secchioni, ripresi dal gancio delle gru (con ponte) del reparto Fusioni azionato da un operatore, non più a bordo della gru , ma a terra, azionando i pulsanti di una pulsantiera che portava a tracollo, portava i secchioni nel forno a vento dove il materiale veniva scaricato e dove iniziava il ciclo di fusione per la produzione del piombo bruto. La maggiore produttività del forno a vento, era stata ottenuta modificando il sistema di scarico delle scorie. Passando da uno scarico diretto su grandi secchioni conici di ghisa ad un sistema di granulazione della scoria. La scoria fusa, cadeva su un uno scivolo, sul quale scorreva dell’acqua. Questa raffreddava rapidamente la scoria, granulandola. Cadeva su una tramoggetta, sotto la quale scorreva un nastro trasportatore che la trasportava all’esterno riversandola su un’atra tramoggetta, dalla quale un elevatore a tazze la sollevava e la riversava su delle tramoggette del piazzale scoria, dalle quali, dapprima a mezzo camion e successivamente a mezzo di un nastro trasportatore in gomma, veniva trasportata e scaricato nella discarica fuori delle mura dello Stabilimento.
li 10 giugno 2007 Ettore Spano