Differenze tra le versioni di "Luigi Matta"

Da Il Filo della Memoria 2.0 - Biblioteca Multimediale di San Gavino Monreale (VS).
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'''Luigi Matta''', (Sanluri (VS), 19 febbario 1930), è stato un operaio della Fonderia di San Gavino dal 1946 al 19xx.  
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'''Luigi Matta''', (Sanluri (VS), 19 febbario 1930), è stato un operaio della Fonderia di San Gavino.  
  
 
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Versione delle 08:53, 9 gen 2010

Testimonianza di Luigi Matta

Il sig. Luigi Matta.

Luigi Matta, (Sanluri (VS), 19 febbario 1930), è stato un operaio della Fonderia di San Gavino.

Indice

INTERVISTA

Presentazione

Mi chiamo Luigi Efisio Matta, sono nato a Sanluri il 19.02.1930, all’età di 8 anni tutta la mia famiglia si trasferì a San Gavino Monreale a causa del lavoro di mio padre; lavorava alla Fonderia di San Gavino Monreale. Anch’io fui assunto in fonderia all’età di 16 e ½ , dopo che mio padre morì per disgrazia. I primi 6 mesi li trascorsi alla forgia, il reparto nel quale veniva arrostito il minerale, erano anni particolarmente significativi nella mia vita lavorativa e per la Fonderia.

Si era proposto di stare con i minatori, perchè la Fonderia di San Gavino Monreale essendo una delle poche realtà metalmeccaniche della Sardegna, avrebbe avuto una forza contrattuale minore?

Molti hanno sostenuto che fosse la motivazione principale, ma secondo me c’erano anche altre ragioni di carattere economico. Tra il 1946 e il 1949 si susseguirono una serie di conflitti tra i lavoratori della Fonderia e la Direzione. I lavoratori della Fonderia avevano il contratto nazionale dei minatori che assicurava determinate condizioni di paga e di lavoro. L’Azienda volle porre termine a questo periodo di agitazione e nel 1949 introdusse in Fonderia il patto aziendale, che prevedeva per i lavoratori un aumento di stipendio che variava dal 10 % al 15 % e la rinuncia da parte dei lavoratori all’azione sindacale.

Alcune testimonianze parlano che l’Azienda, durante lo sciopero del 1949, abbia fatto un lavoro persona per persona, famiglia per famiglia, ed una particolare pressione sulle mogli degli operai.

All’interno delle famiglie. Vi era questa pressione in quanto, si era creata una rete di sensibilizzazione all’esterno e all’interno della Fonderia, sino a riuscire a strappare la firma per il patto aziendale alla stragrande maggioranza dei lavoratori.

Lei ha accennato che si erano svolti prima del grande sciopero del 1949, altri scioperi.

Lo sciopero coinvolse tutto il bacino minerario, Montevecchio compreso.

Mi è stato riferito che lo sciopero del 1949, oltre a questo di cui mi parlo lei, partiva dai minatori. I lavoratori della fonderia erano inglobati con i minerari, quindi vi eravate associati a quello di Montevecchio.

E’ durato più a lungo di quello della Fonderia.

Quanti giorni durò lo sciopero nella Fonderia di San Gavino Monreale?

Lo sciopero era a giorni alterni.

Era nel febbraio del 1949?

Lo sciopero a San Gavino Monreale comincio nel Febbraio del 1949, in seguito ad un referendum tra i lavoratori.

Al momento della sua assunzione in Fonderia, mi ha detto che era figlio di un operaio della Fonderia, ed era un ragazzo 16 1/2 . Cosa ha significato per lei lavorare in Fonderia?

Lavorare in Fonderia ha significato senz’altro fare un salto di qualità, verso un “benessere certo”, se confrontato ad altri lavori, come ad esempio quello del contadino e del muratore.

Quali erano le condizioni di lavoro in fonderia nel 1946, nell’immediato dopoguerra?

Era un lavoro particolarmente faticoso. C’erano i nastri trasportatori in lamiere, i “pani” di ferro, le coppe e le contro-coppe e le condizioni ambientali erano pessime. Si andava incontro ad una serie di malattie come il saturnismo e la silicosi. All’epoca non erano previsti controlli medici periodici per il riscontro dello stato salute dei lavoratori, che vennero introdotte solo all’inizio degli anni ’70. Quindi il lavoro in determinati ambienti della Fonderia presentava una serie di rischi per la salute. Ci è voluto del tempo prima che i lavoratori della Fonderia acquisissero consapevolezza comune di questa condizione, anche se alcuni ne avevano coscienza, altri, la gran parte, si adeguarono per non perdere il lavoro.

Lei è stato assunto nel 1946, esattamente durante il periodo 1946-1949, in cui ci sono stati una serie di scioperi. Che clima c’era tra operai e dirigenti dell’azienda in quel periodo? Quale’era la natura degli scioperi?

Una serie di scioperi spesso e volentieri politici. All’interno del perimetro della Fonderia, i lavoratori cessavano di essere dei cittadini, per diventare dei numeri che dovevano solamente ubbidire, questo anche durante il periodo 1946-1949. Dopo la sconfitta dello sciopero del 1949, si era determinata una sorta di gerarchia tra i lavoratori, ad esempio: talvolta chi aveva funzione di sorvegliante usava rapportarsi con gli altri operai a lui sottoposti in modi “padronali”. C’era quindi un rapporto di soggezione, si temeva che una mala parola potesse determinare il licenziamento. Il 20.06.52 fui licenziato per riordini di servizio.

Per quanto temo è rimasto disoccupato?

Ho fatto 3 anni di disoccupazione.

Può ricostruire le fasi dello sciopero? Cosa ricorda? C’erano state delle manifestazioni?

In Fonderia si svolgevano delle assemblee.

All’interno della Fonderia?

I lavoratori della Fonderia, non avevano un’adeguata istruzione. Solo pochi avevano la 3° avviamento. Quindi non c’era una piena consapevolezza quando si facevano gli scioperi. Gli scioperi più importanti erano quelli per i rinnovi contrattuali. Mentre gli altri erano scioperi di natura politica. Talvolta manovrati politicamente dai dirigenti sindacali comunisti. Molti padri di famiglia si sacrificavano nell’acquisto di un pezzo di terreno che seminavano a fave e grano, “depis marrai custu merri bensi efai, tra il sabato e la domenica”. Non solo non c’era riposo, ma c’era indifferenza riguardo la vita degli operai in Fonderia e per tutto quello che riguardava la vita sociale nel suo insieme.

Che mansione svolgeva al momento dell’assunzione in fonderia nel 1946?

Apprendista meccanico in officina.

In cosa consisteva il suo lavoro?

Una volta uscito dalla forgia, sono andato alla desolforazione.

Come apprendista avrà avuto dei maestri? Quali erano i suoi rapporti con queste figure?

Ho avuto un maestro cagliaritano per quasi 6 anni. Tra noi i rapporti umani erano discreti. I rapporti tra me e il maestro erano come ho detto discreti. Il maestro stava il più possibile fuori e mandava spesso il ragazzo in giro per verificare se c’erano lavori da fare.

Quando è rientrato in Fonderia?

Sono rientrato in Fonderia nel 1962 ed ho travato l’ambiente di lavoro che aveva lasciato anni prima totalmente cambiato.

Quando i lavoratori presero coscienza?

Il lavoratore prende coscienza molto lentamente anche grazie all’evolversi della tecnologia [?].Questo avene molto lentamente al temine degli anni ’60 ed all’inizio degli anni ’70.

Qual era l’organizzazione sindacale più forte?

L’organizzazione sindacale era la CGIL. Insomma ogni organizzazione sindacale cercava di raccogliere il maggior numero possibile d’iscritti [?].

Quando incominciarono le sue prime preoccupazioni riguardo al futuro della Fonderia?

Penso sia stato intorno al 1972 o al 1973, mi insospettì e ne parlai con i miei dirigenti confederali, e insieme ci siamo poi recati all’assessore regionale, a cui espressi le mie preoccupazioni riguardo il futuro della Fonderia: da due anni non veniva svolta una manutenzione radicale. Nel frattempo c’era stato il passaggio della proprietà della Fonderia dai privati all’ENI, la quale non era qualificata per la gestione delle aziende metallurgiche. Si andò avanti per alcuni anni in queste condizioni. La gran parte dei lavoratori cominciò ad avere dubbi, a causa del fermo della manutenzione. Si decise di lottare per mantenere in vita la Fonderia, ciò avveniva all’inizio degli ‘70. L’ing. Freni, dopo alcuni anni di gestione della Fonderia da parte dell’Eni, mi informò su un progetto per il rilancio produttivo della Fonderia. Il progetto prevedeva un rinnovo tecnologico dell’impianti della Fonderia, per farla divenire uno stabilimento di primo piano nella produzione metallurgica in Europa. L’ing. Freni mi raccomandò di non di rivelare la fonte di tale notizia. Alcuni giorni dopo convocai il consiglio di fabbrica e diedi la notizia dell’esistenza di un progetto per rivitalizzare l’attività produttiva in Fonderia e alcuni mi chiesero di rendere nota la fonte dell’informazione sul progetto di rinnovo. Risposi che non potevo in alcun modo rivelarla. L’ENI [?].

    • La commissione interna ha avuto due periodi storici che sono si susseguirono dopo la fine del secondo conflitto mondiale. In tutte le fabbriche si erano costituite le “ Commissioni Interne”, sindacali, che rappresentavano i diversi reparti di una fabbrica ed avevano il compito di tutelare i lavoratori. Ad esempio: un operaio che veniva punito e non gli era chiaro il motivo di tale provvedimento, poteva rivolgersi alla Commissione Interna perché intervenisse presso la Direzione dello stabilimento per avere chiarimenti.

Questo organismo da chi era formato?

Questa organizzazione era formata dai lavoratori, che attraverso elezioni periodiche che si svolgevano ogni due e tre anni, eleggevano i loro rappresentanti.

Può spiegarmi meglio la funzione della “Commissione interna”?

Per quanto riguarda la “Commissione Interna” della Fonderia di San Gavino Monreale, dopo il primo periodo dell’immediato dopoguerra al 1949, la Direzione dell’azienda decise di “normalizzare” i rapporti con i lavoratori, lo fece attraverso una azione capillare utilizzando suoi “satelliti”,, che noi sopranominamo “ruffiani e carogne”. I quali cercavano di carpire la firma di ogni singolo lavoratore per aderire al patto aziendale. La Direzione riuscì in pieno in questa operazione, imponendo così il suo potere sui lavoratori. Ciò ha significato l’annullamento del contratto di lavoro e di tutte le norme che esso contemplava. Nel mentre la “Commissione Interna perdeva il suo ruolo di rappresentanza, pur rimanendo, ma solo ad uso e consumo della “Direzione”

Da chi venivano nominati i membri della “Commissione Interna”?

Era composta da uomini graditi alla direzione, persone malleabili, per la gran parte. Questa situazione si è protratta dal 1949 al 1966. Sono rientrato in fonderia anche come sindacalista, lo fatto con il preciso obiettivo di eliminare il patto aziendale per ridare libertà e diritti sia individuali che collettivi ai lavoratori.

Quindi nel 1966 ci furono elezioni democratiche?

Purtroppo contemporaneamente alla democratizzazione dei rapporti aziendali, segui un periodo di crisi ricorrente. Spesso, mentre la vecchia generazione andava in pensione, molte delle persone che venivano elette a far parte di organismi come “ La “Commissione Interna” o il “Consiglio di Fabbrica”, non si sono rivelati all’altezza di gestire nuova situazione che veniva a determinarsi. Tanto che molti di quelli tra gli operai che entravano negli organismi rappresentavi ne uscivano poi come impiegati.

Abbiamo detto che durante il periodo 1949-1966 la “Commissione interna” era una emanazione della direzione, ma nel 1966 la “Commissione Interna” acquisisce la sua indipendenza…

Sono andato in pensione il 1° gennaio del 1982, dopo si sono alternati tutta una serie di direttori, come un certo Botoli al quale segui immediatamente dopo il Dott. Sirmione di Iglesias. Il loro obiettivo era la graduale chiusura della Fonderia. Gli organismi di rappresentanza dei lavoratori come la “Commissione Interna “ e il “Consiglio di Fabbrica” non sono riusciti ad opporsi a tale progetto, anche a causa del fatto che i componenti erano in gran parte giovani non adeguatamente preparati culturalmente e sindacalmente, facili preda delle manipolazioni attuate dalla “Direzione” che riuscì cosi a tenerli “buoni e docili”.

La “Commissione Interna” e il “Consiglio di Fabbrica” erano la stessa cosa?

Erano equivalenti, l’elezione avveniva contemporaneamente. Il “Consiglio di Fabbrica “ era l’espressione dell’organizzazione sindacale e doveva operare agire e muoversi nel contesto delle norme contrattuali, ne rispondeva all’organizzazione sindacale che egli esprimeva. Sostanzialmente i ruoli dei due organismi non si differenziavano molto. La “Commissione Interna” era composta da 7 o 8 componenti, maggiormente influenzabili da parte della Direzione. Non si poteva dire altrettanto per il “Consiglio di Fabbrica”, composto da 20 o 25 persone.

Dal 1966 in avanti, il rapporto fra “la Commissione Interna” e la Direzione diviene più conflittuale?

Durante il periodo della mia attività sindacale in fonderia sino al 31 dicembre 1981, ci siamo occupati di tutti quei problemi relativi al superamento del patto aziendale, battendoci per far attuare tutte le norme dei contratti collettivi di lavoro a livello nazionale. Un conflitto durato circa una ventina d’anni con la “Direzione”. Poi dal 1982, come precedentemente detto, con l’alternarsi di diverse persone alla direzione, incomincio il declino dell’attività produttiva della Fonderia soprattutto per quanto riguarda il primario, mentre rimaneva ed è tuttora operativo il secondario, cioè la raffinazione. Il piombo prima vi era importato da Portovesme a San Gavino Monreale dove veniva raffinato per eliminare tutte le impurità, processo dal quale talvolta si ricavavano oro ed argento.

Può descrivermi la qualità dei rapporti tra operai e impiegati e con la Direzione?

All’interno del perimetro della Fonderia l’operaio cessava di essere un cittadino titolare di diritti e doveri, diventando un “numero” soggetto al comando della Direzione dell’Azienda costituita da una catena gerarchica. Eravamo cioè un gruppo di persone, delle squadre con capo dei lavoratori quando c’era carenza nella produzione . Questo poteva creare degli attriti tra i lavoratori, soprattutto nei periodi di crisi, quando erano a rischio i posti di lavoro. Tra i lavoratori vi era una sorta di competizione per mettersi in evidenza e dimostrare di essere più capaci di altri, competizione che degenerava in fenomeni come quello dei “ruffiani” e delle “ spie”. Questo avveniva anche perché la Fonderia era una “cattedrale nel deserto” e dove si lottava per mantenere il lavoro talvolta con espedienti non del tutto corretti. Bisognava essere prudenti e fidarsi di poche persone.

Si sono evoluti nel corso del tempo questi rapporti?

Senz’altro, almeno in gran parte, c’è stata un evoluzione positiva, perché la generazione del patto aziendale, nel periodo paternalistico, con il passare del tempo veniva sostituita dai giovani che non sempre però riuscivano ad avere una corretta conoscenza della situazione: quando mi vedevano parlare con il Direttore, molti pensavano che fossi un ruffiano. Mentre al contrario parlavo di problemi, come la fuga di polveri o altro, in quanto facevo parte del comitato antinfortunistico, formato dai caporeparto e da tutti i capiturno. Ci confrontavamo con la Direzione su questi problemi, la quale però voleva sempre avere l’ultima parola. Si determinava così una sorte di intimidazione, c’erano due o tre persone tra le quali io che avevano avuto il coraggio di denunciare certe situazioni. Ricordo che una volta mi rivolsi al Direttore:<< Ing. A questo punto qui non ci vengo più, quando riscontro qualche cosa le faccio una telefonata, e verifichiamo assieme, in modo che potrà accertare se ho ragione io o loro>>. Questo mio comportamento determinò momenti di rottura con diverse persone. Ero un attento osservatore della realtà della Fonderia, per questo molti operai quando si presentavano dei problemi si rivolgevano a me. Svolsi un’opera di sensibilizzazione presso molti operai per fargli capire quanto fosse nocivo mangiare il pranzo all’interno dell’ambiente di lavoro saturi di polveri nocive o altro. Molti operai però si arrabbiavano e seccati mi dicevano: << è mai possibile Gigi Matta che tu stia sempre a rompere qua o rompere là>>.

E i rapporti tra operai ed impiegati?

Quando nel 1962 sono rientrato in Fonderia, i rapporti tra operai e impiegati, erano “distinti”: gli operai e gli impiegati facevano diverse cose separatamente. Mi sono serviti diversi anni per iscriverli al sindacato e questo valeva anche per i tecnici e qualche impiegato. Molti mi rimproveravano per questo mio atteggiamento, dicevano che collaboravano con i “fascisti”. Quello che mi stava a cuore era l’unità di tutti i lavoratori della Fonderia. La classe operaia i problemi deve affrontarli quotidianamente, è necessaria la totale unità. Il lavoro di un sindacalista è quello di avere tra i suoi obiettivi di unire tutti i lavoratori presenti in una azienda, dagli operai agli impiegati ai tecnici. Quando questa unità viene a mancare (come ci insegna il caso FIAT, con la marcia dei 40.000), nel medio periodo si perde tutti. Anche in altre testimonianze che abbiamo raccolto i rapporti tra operai ed impiegati vengono descritti come due mondi a parte. Gli impiegati della Fonderia godevano di una serie di privilegi rispetto agli operai, sia di ordini economico ma anche cose come avere il ghiaccio, la frutta direttamente a casa, etc. La Fonderia aveva un ortolano che coltivava degli orti e la frutta, gli ortaggi che venivano poi distribuiti agli impiegati. Ricordo uve di prima qualità proveniente dalle vigne della Fonderia. Il tutto distribuito dalla Direzione gratuitamente agli impiegati. La distanza tra impiegati e operaio si era molta acuita dopo il patto aziendale. Ripeto il mio obiettivo come sindacalista era l’annullamento della distanza tra operai e impiegati.

Questa distinzione e separazione è venuta meno nel corso del tempo?

Diciamo quello che ho sentito.

Nella sua esperienza?

Dipende molto se si tratta di un periodo più o meno prospero anche i rapporti tra lavoratori possono essere più o meno, diciamo così, amichevoli. Ognuno per se e Dio per tutti…“Ognuno per sé e Dio per tutti”. Questo era lo spirito, non solo nella Fonderia di San Gavino Monreale, ma che anche in altre aziende regnava. Forse dipende dalla nostra natura umana. Io mi sono sforzato di capire. So cosa significa essere licenziati e girare per tutta la Sardegna alla ricerca di un posto di lavoro. Ed ho lavorato in modo che altri non dovessero ripetere la mia esperienza.

Qual’è stata l’evoluzione dei rapporti tra gli operai e la Direzione nel corso del tempo?

Per quanto riguarda i rapporti tra la Direzione e i lavoratori era importantissimo il “fattore soggettivo”: se la Direzione riteneva l’operaio meritevole in quanto ligio al proprio lavoro, l’azienda era propensa ad aiutarlo con dei prestiti, con dei tassi bassissimi per la costruzione di una casa. Se ricordo bene c’era un giorno alla settimana dedicato ai rapporti con i lavoratori. Mentre se era un lavativo , il più delle volte, veniva scaricato con la scusante che al momento non avevano disponibilità.

Molti la ricordano per la sua attività sindacale.

In Fonderia sono rientrato, se non ricordo bene, il 26 o 27 febbraio 1962.

Una Campagna per il tesseramento, una presenza organizzata del sindacato… quali lotte ha condotto? Quali erano i rapporti con le altre organizzazioni sindacali presenti? Se in alcune occasioni avete condotto insieme delle lotte, quali cambiamenti siete riusciti ad ottenere sia materialmente che attraverso la sensibilizzazione degli operai?

Rientrato volevo lavorare come sindacalista, per creare un clima di tolleranza di umanizzazione tra i lavoratori.

Quali erano i rapporti tra le diverse organizzazioni sindacali?

Tra le prime lotte da affrontare c’era quello di individuare una adeguata strategia per il superamento del patto aziendale. Un Lavoro che è durato alcuni anni. Dopo un confronto con la Direzione della Fonderia e della Confindustria di Cagliari, siamo riusciti ad ottenere anche all’interno dello Stabilimento tutte quelle libertà individuali e collettive sindacali e politiche mettendo fine definitivamente a quel regime prima impregnato di servilismo e paternalismo, e abbiamo ottenuto un miglioramento generale delle condizioni di lavoro, ma disgraziatamente siamo immediatamente incorsi sul grande problema del futuro della Fonderia.

Come vennero organizzate le prime lotte sindacali?

Le prime lotte sono state indirizzate per l’eliminazione del patto aziendale e il suo contenuto senza che i lavoratori avessero qualcosa da rimetterci e ripristinare all’interno della fabbrica le libertà individuali e collettive. Democratizzando gli organismi rappresentativi in modo che realmente fossero espressione della volontà dei lavoratori senza condizionamenti da parte della Direzione e creando un clima di rapporti dignitosi fra le parti. Fermo restando che comunque persistevano interressi contrapposti quello dei lavoratori e quelli della Direzione della Fonderia.

Quali lotte sono state promosse dalla sua organizzazione sindacale?

In Fonderia era presenti le tre principali sindacati C.G.I.L., U.I.L., C.I.S.L. Abbiamo condotto spesso unitariamente delle lotte per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori della Fonderia, anche se non sono mancate frizioni. Quando in alcune vertenze ottenevo dei risultati era guardato con sospetto, considerato un democristiano più che un sindacalista. Questo era un atteggiamento assunto soprattutto nei miei confronti dalla C.G.I.L.. Ma per fortuna, ho sempre avuto il buon senso di non confondere il piano della politica con quello sindacale! Guardando oltre.

A parte queste cose molto importanti, come le battaglie per la conquista della libertà all’interno della Fonderia lei ha parlato di cose molto concrete, ad esempio delle mense e per avere luoghi più salubri, può citarmi alcuni esempi?

Il processo produttivo della fonderia all’epoca, era poco salubre: non c’erano i nastri di gomma di oggi, ma era tutto un vibrare di lamiere dei trasportatori, di balestre etc., si diffondevano nell’ambiente ogni genere di polveri, di esalazioni, di odori. Si doveva trovare rimedio a questo problema, per questo consultavo i tecnici, sentivo i lavoratori, il tutto per individuare le opportune soluzioni. Erano più delle volte contatti confidenziali, perché molti avevano paura di incorrere nelle ire della Direzione. Comunque si è riusciti con un lavoro paziente a portare modifiche tali che garantissero maggiormente la salute dei lavoratori proprio negli ambienti meno salubri; ad esempio ai trasportatori abbiamo sostituito balestre e lamiere con nastri di gomma, quindi una diminuzione sensibile del rumore, meno esalazioni, oppure, con altre migliorie tecnologiche, abbiamo risolto il problema “tramongie” che erano aperte. Le abbiamo chiuse con dei piatti, dove si buttavano i secchioni, li poggiavano, c’era un tappo a pressione sopra che si apriva e si chiudeva come scaricavo, era questa una soluzione per evitare le esalazioni. Su questi temi sono stato un vero proprio “rompipalle” tanto che mi coinvolsero nel comitato antinfortunistico. Bisogna ricordare che queste migliorie sono state ottenute grazie ad un opera di pressione e confronto costante nei confronti della Direzione, ma anche dal confronto con alcune resistenze da parte dei lavoratori che non sempre avevano un adeguata consapevolezza delle condizioni per la tutela della salute in Fonderia. Anche nel Comitato antinfortunistico ho dovuto superare diverse resistenze, perché molti membri, per farsi belli nei confronti della Direzione chiedevano il meno possibile. Io al contrario insistevo molto, telefonando al direttore, costringendolo a verificare assieme le condizioni di determinati ambienti, anche se questo non veniva visto di buon occhio da parte di alcuni che mi accusarono di “ruffianeria”. Ma non mi conformavo a questo spirito, non ci stavo a questo.

La Fonderia senz’altro ha avuto una grande importanza non solo per il lavoro, ma anche sociale, in quanto ha esercitato un’influenza su diversi aspetti sulla vita della cittadina, può dirmi qualcosa al riguardo?

Questa è una storia che abbraccia il tutto, dalle vite delle persone al sociale, all’economico. La dove sorge un’industria, come è stato il caso della Fonderia di San Gavino Monreale, con un certo numero di dipendenti si mette in motto un circolo virtuoso, creando un afflusso monetario non indifferente, non solo nel paese dov’è l’azienda, ma anche nei paesi limitrofi. Perché in Fonderia non hanno lavorato solo Sangavinesi, ma anche Guspinesi, Gonnesi, Arburesi , perfino un gruppo di lavoratori di Cagliari, di Serrenti etc.. In un paese come San Gavino Monreale o altri limitrofi, ad eccezione dei paesi con le miniere, prevalentemente agricoli, la Fonderia a fatto fare a queste comunità un balzo non indifferente in crescita economica, in dignità umana. Per questo quando intorno alla fine degli anni ’70 fino all’inizio degli anni ’80, mi battevo perché la Fonderia continuasse a vivere, mi rendevo conto di quale grande perdita per San Gavino Monreale e per il territorio fosse la sua chiusura Ciò che poi è realmente avvenuto, con conseguenti ripercussioni sulla vita delle singole persone, sulla società, sull’economia del paese.

La Fonderia lascerà alle generazioni future una qualche eredità o rischia con la fine del suo ciclo produttivo di diventare un muto fatiscente monumento di ferraglia arrugginita?

Il risultato che ci troviamo davanti è un declino economico, professionale, che ha colpito un settore come quello artigianale. Si è creato un clima di sfiducia, d’incertezza, oggi a differenza di un tempo la gente non riesce a vivere con un stipendio, a farsi una casa, anche se si è in due a lavorare. Penso che questa situazione si fare sentire ancor di più con il mancare prossimamente dei pensionati della Fonderia. Non so quale sarà la reazione delle nuove generazioni.

La cosa che mi ha spinto a fare questa ricerca e a raccogliere queste testimonianze è stata la necessita di evitare che la memoria dei lavoratori della Fonderia di San Gavino Monreale scomparisse definitivamente, dimenticata sopratutto dalle nuove generazioni, determinando così un grave ferità nell’identità collettiva di questa cittadina. Nella mia ricerca ho voluto e voglio continuare ad esplorare e far risaltare l’aspetto umano più che l’aspetto produttivo nella storia di questo stabilimento…, cosa ne pensa?

Tenendo conto delle condizioni di partenza, del fatto che sino agli anni ’70 la cultura era circoscritta a ristretti gruppi, poi era ancora diffuso l’analfabetismo o comunque una bassa scolarizzazione tra chi lavorava le campagne o nell’edilizia, difficilmente ci si poneva il problema del domani o del cosa lasciare ai propri figli in termini economici, storici, sociali etc. Nel mio piccolo ho cercato di attivarmi, partecipando ad associazioni, partiti. La mia visione era maturata attraverso la mia esperienza di vita. Cosa lasciamo, cosa lascio è una preoccupazione che ho sempre avuto. Perché abbiamo perso o stiamo perdendo ormai questa fonte di lavoro? Ci siamo posti la domanda di cosa fare per impedire questo? Forse questo dipende dal fatto che la Sardegna è un’isola, lontana dai grandi centri. Ma neanche i Sardi sono stati in grado di reagire. Queste problematiche le avevo poste al sindacato, ai partiti, dubito che un domani si possano insidiare grandi industrie come la Fonderia od altre. Penso che dobbiamo contare solamente sulle risorse che abbiamo a disposizione come le risorse naturali: abbiamo montagne, abbiamo mari e spiagge tra le migliori al mondo. Da qui si potrebbe organizzare l’industrie turistica di massa. Bisognerebbe rivitalizzare la zootecnia, l’apicoltura. Anche queste attività potrebbero essere fonti di reddito per la Sardegna e per indotto potrebbe svilupparsi l’artigianato. Non vede altro, ma bisogna agire subito prima che sia troppo tardi.

La Fonderia di San Gavino Monreale, dopo oltre 70 anni di attività, si avvia oramai definitivamente verso la fine della sua vita produttiva, mi chiede se la memoria della sua storia potrà costituire una risorsa per il futuro, mi riferisco all’ archeologia industriale, che ne pensa?

Si! Dovrebbe essere una risorsa. E’ una preoccupazione che mi ha sempre assillato. Penso che l’istruzione abbia una grande importanza ma ne accorsi quando ragazzo 16 ½ entrai in fonderia. Ai tempi in cui lavoravo in fonderia nutrivo una grande speranza che sia la cultura che il benessere riuscissero a creare una società dove ognuno fosse protagonista del proprio destino, che si giungesse ad una democrazia realmente compiuta, partecipata. Oggi a distanza di anni, niente di tutto questo si è realizzato, il benessere e la scolarizzazione invece di partecipazione hanno portato indifferenza e apatia, molti vivono seguendo il motto “non me frega niente, come va va”. Questo mi ha amareggiato molto, molto deluso dell’oggi: i Sindacati sono divenuti degli apparati burocratici, idem con i partiti che guardano altrove ma non ai bisogni dei lavoratori e della gente.

Cosa le ha lasciato in eredità la fonderia?

La Fonderia, dopo alterne vicende, mi ha permesso di crearmi una famiglia e di crescerla. Mi ha dato la possibilità d’inserirmi nella società, di realizzarmi in qualche modo. Soffro però nel vedere questo suo inesorabile declino, ho speso gli ultimi miei anni di lavoro, come sindacalista, per evitare questa fine, perché la Fonderia continuasse a vivere ancora per molto tempo. Ricordo che mi illusi quando l’ing. Freni presentò un nuovo progetto per la Fonderia e mi disse:<<Senti Gigi Matta, ho presentato un progetto di 110 miliardi di lire, aggiungiamo quattro carrelli 480.000 tonnellate di piombo, ci permetterà di vendere il piombo all’estero>>. Purtroppo quel progetto non andò in porto. Comunque conservo un buon ricordo della Fonderia, lo sempre percepita come qualcosa di mio, un’eredità positiva complessivamente.

Che cosa mi può dire riguardo all’Ing. Rolandi?

Ho conosciuto l’ing. Rolandi quando svolgeva la funzione di amministratore delegato. Aveva con i lavoratori rapporti cordiali. Spesso ispezionava i vari reparti della Fonderia, chiedendo ai lavoratori ciò che non andava bene. Non faceva discriminazioni di alcun genere. Mentre l’ingegnere Marini era solito mantenere le distanze, guardando i lavoratori dall’alto in basso.

E su l’ing. Freni?

Rispetto all’ingegner Marini, l’ing. Freni aveva una maggiore umanità nei confronti degli operai. Era uno studioso e ha contribuito in maniera determinante all’innovazione tecnologica della Fonderia sopratutto per quanto riguarda la raffinazione. Non perdeva occasione nello sgridarmi per la mia attività sindacale. Avevamo spesso aspri confronti, ma era una brava persona.

Arturo Tuveri per lei era una avversario o amico?

Arturo Tuveri, sul piano umano, era una bravissima persona, ma sul piano politico e sindacale, era durissimo, talvolta dava giudizi senza appello: era apparso un articolo sull’Unione Sarda riguardo alla mancanza di manutenzione generale della Fonderia, una delegazione della Fonderia, di cui facevo parte, si recò all’Assessorato dell’Industria della Regione Sarda. Il Tuveri mi fece chiamare per parlarmi e mi disse molto irritato: <<A lei chi l’ha autorizzato a scrivere sciocchezze, io la denuncio!>>, risposi :<< delle miei azioni rispondo ai miei iscritti e alla mia organizzazione sindacale>>. Il difetto di A. Tuveri, secondo me, era di non riuscire a distinguere il rapporto di amicizia da quello politico. Io al contrario ponevo i rapporti umani al di sopra di quelli politici. Ciò era dovuto alla spaccatura politica di quegli anni. Ricordo che nell’immediato dopoguerra ero comunista, mi intrateni a parlare con un amico di altro colore politico. Dopo la fine del colloquio entrai nella sezione del PCI di San Gavino Monreale e fui aspramente rimproverato, ma ribadì con forza il mio diritto di parlare con chiunque! L’amicizia, per me, resta sempre al di sopra di ogni cosa, quello che conta è l’umanità nelle persone.