Emanuela Cruccu
Emanuela Cruccu
"Cenere 2021"
“Anania si avvicinò in punta di piedi al tavolinetto, sul quale aveva notato il suo sacchettino, squarciato, deposto su un piatto di vetro. Prima di toccarlo lo guardò quasi con diffidenza, poi lo prese e lo vuotò. Ne uscì fuori una pietruzza gialla, e cenere, cenere annerita dal tempo. Cenere! Anania palpò a lungo, con tutte e due le mani, quella cenere nera che forse era l'avanzo di qualche ricordo d'amore di sua madre; quella cenere che aveva posato lungamente sul suo petto, sentendone i palpiti più profondi. E in quell'ora memoranda della sua vita, della quale capiva di non sentire ancora tutta la solenne significazione, quel mucchiettino di cenere gli parve un simbolo del destino. Sì, tutto era cenere: la vita, la morte, l'uomo; il destino stesso che la produceva. Eppure, in quell'ora suprema, vigilato dalla figura della vecchia fatale che sembrava la Morte in attesa, e davanti alla spoglia della più misera delle creature umane, che dopo aver fatto e sofferto il male in tutte le sue manifestazioni era morta per il bene altrui, egli ricordò che fra la cenere cova spesso la scintilla, seme della fiamma luminosa e purificatrice, e sperò, e amò ancora la vita.”
Queste sono le ultime parole del romanzo “Cenere” della scrittrice Grazia Deledda, a cui si ispira l’opera presentata in sala. La cenere rappresenta ciò che rimane dei rapporti umani, il destino di un’esperienza d’amore, insieme a quello che resta di una vita sofferta, governata dal tempo. Tempo che scorre silenzioso, tempo che non ci lascia decidere, ma che, al contrario, decide per noi. Tempo che scorre e brucia, come le pagine di questo libro. E rimane solo cenere.
"Conversazione"
“Andare lontano, a passi lenti e poi veloci. Corro e mi fermo. Le mie gambe vanno, senza freni, senza aspettare. Niente è in attesa, neanche il tempo. Osserva, parla, insegui. Nuota, vaga, brucia. Soffia, gira, affanna. Mi illudo di qualcosa, di uno spazio “oltre”. Mi son lasciata andare. Non afferro niente, solo aria. Fine della corsa. Raggiungimi lontano da qui.”
Ti ho messo quella sedia lì, se ti vuoi fermare un attimo.
Quanto tempo abbiamo per parlare, ma questa volta possiamo averne per parlarci.
Ascoltiamoci, sussurriamoci questo pensiero, a modo nostro possiamo dircelo.
E anche se non ci capiremo, non preoccuparti, ci siamo ascoltati.
"Non è mai tardi"
Molti di noi riservano una maggiore attenzione alle cose che mutano rispetto al tempo che queste impiegano per farlo. Non possediamo una reale percezione dei giorni, delle settimane, dei mesi e degli anni che intercorrono tra quell’attimo in cui esse intraprendono tale percorso e quello in cui si presentano ai nostri occhi come ‘diverse’. È così che intendo il tempo, come un possibile ordine di avvenimenti. Il progetto vuole analizzare questo tipo di processo che la realtà materiale subisce in modo costante e impercettibile, in cui gli oggetti vedono modificare il loro aspetto, gli spazi vuoti si riempiono e gli spazi pieni si svuotano, in cui noi stessi a volte ci troviamo a voler rincorrere una condizione d’essere anticipando i tempi.
Il tempo è quella dimensione quantificabile in cui avvengono le cose, quel qualcosa che impieghiamo per svolgere un’operazione, sia fisica che mentale, e andrebbe analizzato sia come contenitore sia come contenuto.
Il concetto “Non è mai tardi” vuole riferirsi a tutte quelle occasioni che possiamo ancora vivere cercando di interrogarci su chi siamo e come invece potremmo cambiare rispetto alle cose, dialogando con esse. Non dobbiamo, perciò, pensare al tempo come dimensione storica ma come dimensione intima, come fenomeno che scandisce i nostri ritmi quotidiani, le nostre esperienze sensoriali. I lavori esposti vogliono portarci a domandarci quante volte ci siamo soffermati a riflettere sulla certezza/incertezza della nostra presenza in un luogo, sulla dinamicità dei rapporti con gli spazi che occupiamo e sugli sforzi relativi al raggiungimento di un obiettivo che ci prefissiamo. Ma invitano anche a osservare e vivere il senso del percorso di visita da una prospettiva più informata, a interagire con ciò che lo stesso percorso offre, promuovendo il concetto dell’”essere tra le cose” e non “essere con le cose” all’interno di un ambiente.
Aspetto critico
Il giornalista e scrittore Massimo Gramellini nell'articolo per Il Corriere “Fuggiamo da passato e futuro ma alla fine contano solo le emozioni” si pone il quesito: “Se il tempo non esiste, allora che cosa è quella cosa che ci ostiniamo a chiamare col suo nome? Quella cosa che scorre sempre in avanti e mai indietro?”|| fisico Carlo Rovelli nel libro L'ordine del tempo pubbblicato per Adelphi risponde a queste domande esaminando la natura del tempo da diversi punti di vista e l'evoluzione della sua comprensione nel corso dello sviluppo del pensiero scientifico attraverso la filosofia.
Per Rovelli il tempo siamo noi, come prodotto della mente umana, perché parafrasando Heidegger: “Il tempo si temporalizza solo nella misura in cui ci sono esseri umani." In “Non è mai tardi” l'artista Emanuela Cruccu materializza il concetto di tempo attraverso suggestive opere plastiche che diventano installazioni immersive, fornendo al visitatore nuovi strumenti di valutazione dell'uso del proprio tempo.
L'atto creativo di Emanuela introduce nella realtà un contributo nuovo, caratterizzato da dinamiche percettive inedite, che creano nuove e coinvolgenti rappresentazioni del tempo. Apre le porte a un “multiverso”, un insieme di universi coesistenti tra loro, in cui il visitatore influenza l'evento stesso immergendosi nell'opera e perdendosi nelle pieghe del tempo, generando infinite realtà.
L'artista utilizza diversi linguaggi come nel trittico “Conversazione”, un viaggio nel tempo e nello spazio, in cui più voci in diverse lingue, intrecciandosi traloro, si materializzano nei tessuti scultorei che, come una cascata tra passato, presente e futuro, fuoriescono dalle tele. Con “Non c'è più tempo” Emanuela mette in scena tra cumuli di sabbia diversi orologi che segnano ognuno un orario. Se Salvador Dalì raffigurava orologi surrealisti inseriti in uno spazio senza tempo, Emanuela attraverso gli orologi incastonati nella sabbia ci fa vedere un tempo dinamico che diventa rumore invasivo, mostrandoci come noi, “technosapiens”, siamo i depredatori del nostro tempo.
E così “Prendi tempo” diventa un invito ad abbandonare il nostro stile di vita cronofago, riappropriandoci del proprio tempo. Inoltre, opere come “Discesa”, composta da due tele unite da una cascata raffigurata da un panneggio dalle morbide pieghe disegnate da luce e ombra, sembrano suggerire un rallentamento del tempo.
Le “stanze immersive” di Emanuela Cruccu sono veri e propri paesaggi immaginifici il cui fil rouge è il tempo.
Buon viaggio.Diego Repetto